Un campo specifico di realtà immaginali
Il mundus imaginalis si presenta come un luogo da conoscere, una sorta di dimensione o stato che rivela il valore psichico dell’esperire e che si designa anche come realtà psichica.
Come sottolinea Hillman: “È un campo specifico di realtà immaginali, il quale richiede metodi e facoltà percettive diversi da quelli richiesti dal mondo spirituale o dal mondo empirico e ingenuo della normale percezione sensoriale (Psicologia archetipica, 1980, Enciclopedia del Novecento, p. 814)”.
Non si può trascurare questa definizione perché in essa sono contenute numerose questioni a mio avviso fondamentali che potrebbero aiutare a capire il senso caratteristico del fare anima.
Ci si domanderà allora quali siano questi metodi e facoltà percettive che permetterebbero di cogliere le realtà immaginali.
In primis, parlando di mundus imaginalis, si dovrebbe risalire agli scritti di Corbin che si rifanno al Sufismo di Ibn Arabi e alla filosofia di Sohravardi per capire cosa sia l’immaginazione nel senso originale del termine e a quale corrente di pensiero appartenga.
In secondo luogo, è doveroso fare dei riferimenti all’immaginazione attiva dal momento che è il metodo originale che Jung sviluppò e che Hillman mantiene nell’esercizio della psicologia archetipica.
Infine, possiamo analizzare alcune facoltà percettive che Hillman ha messo in evidenza per cogliere la realtà psichica.
L’immaginazione creatrice
Corbin si avvale dello studio dell’opera di Ibn Arabi per definire cosa sia l’immaginazione creatrice ritenendo il mistico Sufi del tutto in linea con il pensiero di autori rinascimentali come Paracelso o visionari come Jacob Bohme (H. Corbin, 1958, L’immaginazione creatrice, Laterza, Bari, 1993). Per semplificare l’assai complessa questione possiamo partire dicendo che va distinta la fantasia dell’immaginazione. La fantasia costituisce un’evasione del pensiero in quello spazio mentale dove è possibile rappresentarsi di tutto sconfinando in un campo che potremmo definire irreale. La completa sovrapposizione tra immaginazione e fantasia ha fatto prevalere il principio che i due termini si riferiscono alle possibilità del farsi immagini mentali a piacere, le quali non hanno alcun genere di valore o peso sul piano della realtà che conosciamo attraverso i sensi. Corbin sottolinea invece che l’immaginazione vera è ben altro dalla fantasia e rivelerebbe un luogo prodotto ad un’azione creatrice che deriverebbe da un atto divino. La forza creatrice è opera dell’Essere Divino che si presenta come una Nube primordiale che si rivela a se stessa differenziandosi. Da una luce primordiale uniforme e diffusa discenderebbero le forme distinte che a loro volta oscurando la luce definirebbero l’essere dal non-essere. L’atto creativo troverebbe la sua validità nel mantenere la relazione tra luce creativa e immagine creata in una comprensione trasparente, capace cioè di cogliere nelle forme opache la loro relazione con l’agente creatore. L’individuo che immagina si pone nello stesso atto creativo del Divino e così facendo entra nella creazione partecipando della rivelazione.
Una tale manifestazione è percepita attraverso l’immaginazione attiva che Corbin definisce come uno stato di sogno in dormiveglia, un particolare stato di coscienza quindi, differente dallo stato di veglia ordinario o dal sonno propriamente detto. Ciò che si coglie in questa dimensione sarebbe trasmissibile nella condizione ordinaria di veglia mediante un esercizio ermeneutico, il Ta’wil, che permetterebbe di formare simboli e termini comprensibili razionalmente. L’immaginazione sarebbe il luogo delle apparizioni divine e delle storie sacre, la dimensione nella quale avverrebbero tutte le manifestazioni sottili e straordinarie. La domanda che ora ci poniamo è se Hillman consideri il mundus imaginalis esattamente così come lo presenta Corbin o se ne ha fatto una sua lettura.
Per Hillman “Il Mundus Imaginalis fornisce agli archetipi quella fondazione cosmica e assiologica che non potrebbero loro fornire, per esempio, gli istinti biologici, le forme esterne, i numeri, la trasmissione sociale e linguistica, le reazioni biochimiche o la codificazione genetica (Hillman, 1980, op. cit.)”.
Si evince che l’interesse dell’autore sia quello di trovare una dimensione autonoma della psiche che dia comprensione delle sue caratteristiche senza dover ricorrere a campi del sapere che andrebbero a ridurre lo psichico ad altro da sé.
Tuttavia, l’eredità filosofica è ben segnata dal momento che fa risalire la psicologia archetipica a una tradizione di pensiero tutta occidentale che inizia con Eraclito e Platone, per passare a Plotino, Proclo, Avicenna, gli islamici Ibn Arabi e Sohravardi, sino ai filosofi del Rinascimento come Ficino o Paracelso e poi a Vico, per arrivare ai poeti come Blake, Keats, Coleridge.
L’accezione che emerge non è quella orientata sul misticismo come esposta da Corbin, quanto una tendenza verso l’aspetto poetico teso a mantenersi nello spazio dell’immaginazione come luogo in cui l’esperienza inizia e si consuma.
Da Corbin comprendiamo che la fruizione del mundus imaginalis è fatta di due momenti: la visione diretta, l’immaginazione attiva, creatrice, teofanica e il ta’wil, la fase di trasmissione e interpretazione simbolica.
L’immaginazione attiva
Prima ancora di ritrovare in Corbin il fondamento ontologico e storico dell’immaginazione, l’immaginazione attiva definisce la tecnica utilizzata da Jung per porsi in relazione con i suoi personaggi interiori da cui trasse esempio per le teorie. Nello spiegare la tecnica Von Franz (M. L. Von Franz, L’immaginazione attiva, Rivista di Psicologia Analitica, 1978) mise in evidenza un aspetto, il confronto etico con l’immagine. Con esso si riferiva al prendere sul serio l’immaginazione tanto da renderne i suoi contenuti ed effetti reali. Proprio in questo passaggio emerge il modo d’intendere la differenza tra fantasia e immaginazione in una chiave che non tenga necessariamente conto dell’elemento metafisico o intervento creativo divino, aspetto che comunque Jung ammette allorché parla di creatio continua.
L’immaginazione attiva è portante anche nella psicoterapia proposta dalla psicologia archetipica tesa ad usarla per dare vita ai personaggi psichici prendendoli ‘seriamente’ ma non ‘letteralmente’. Parte importante oltre all’immaginazione resta la modalità del dialogo che risponderebbe a quella modalità di amplificare e curare l’immagine riconducendo ad esse i sintomi e le sfumature della personalità. Tuttavia, almeno nello scritto in cui l’autore parla in modo esplicito della terapia e dunque del fare anima, non si riescono a capire altri aspetti della percezione particolare che aiuta a cogliere l’immaginale. Verrebbe da dire che il centro resta nel sogno o nel dormiveglia di Corbin, ma spesso ricorrono riferimenti ad un sentire che è anche attivo nel vivere quotidiano e fuori dal setting. Se il metodo ermeneutico del ta’wil ci rimanda all’amplificazione come proposta da Jung, resta però un modo di vedere e cogliere la realtà psichica che è diretto e potrebbe non essere solo limitato ad un’esperienza visionaria onirica.
Intuizione e percezione immediata e diretta
Nel capitolo ‘Ritorno agli invisibili’ nel Codice dell’anima, Hillman considera l’intuizione come una funzione fondamentale per cogliere l’aspetto invisibile della psiche che è presente nell’esperienza immediata delle cose che ci circondano o che sentiamo interiormente. L’atto di cogliere in modo istantaneo e diretto senza mediazione di pensiero, il sentire irrazionale come lo intendeva Jung nella tipologia psicologica, permette di vedere mediante un’ispirazione che è l’essenza stessa del pensiero mitico. Per questo un occhio intuitivo che coglie l’anima vivificante che è la realtà psichica percepisce direttamente dentro e intorno a sé la comprensione che appare come un sentimento poetico di pura ispirazione. L’intuizione però non è sufficiente per dare conto della verità di un’esperienza, le intuizioni possono essere sbagliate o assecondare pensieri magici sino a favorire ossessioni o paranoie. Questo se l’intuizione è dominante mentre quello che comunemente accade è che l’intuizione deve essere servita dal pensiero e sentimento nonché da una dose di pragmatismo sensoriale.
Capire le intuizioni permette di potersi affidare a una sensibilità che tutti possiedono e che risiede nella fiducia dei processi inconsci, gli aspetti autonomi che l’Io tende a ignorare, rimuovere o annullare. Accanto all’intuizione Hillman fa riferimento ad un modo di percepire fatto di sensazione colta nella sua qualità pura scevra da interpretazione. Il sentire di Hillman sembra quello del sentire proposto dallo Zen buddhista, nella mela ci sia solo la mela e nient’altro, nel visto ci sia solo il visto, nel sentito, solo il sentito. Per risalire a questa purezza del sentire, la visione in trasparenza, bisogna fare un’opera di smantellamento delle sovrastrutture concettuali, diagnostiche e categoriche come ha ampiamente illustrato nei confronti della psicologia nominalista.
Conclusioni
“La percezione pone in essere e mantiene in vita l’essenza di ciò che è percepito; e quando la percezione vede nella santità degli affetti del Cuore, come appunto ci dicono le nostre storie, si disvelano cose che dimostrano la Verità dell’Immaginazione (J. Hillman, 1996, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1997, p. 165)”.
Intuizione e percezione diretta libera da schemi disvelerebbe il sentire del cuore e con esso si rivelerebbe il vedere creativo, condizione essenziale del fare anima.
Immagine: Rembrandt, La lezione di anatomia del Dott Tulp, 1632.
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