C’è molta confusione, oggi, in chi parla indifferentemente di anima, mente, corpo e spiritualità senza sapere in realtà a cosa si riferisce. Generalmente, poi, si tende a non voler parlare di anima, come di tutto ciò che si ritiene indimostrabile. Si riconduce ogni vissuto o reazione emotiva al corpo e alla mente, ma allo stesso tempo si seguono corsi di yoga, mindfulness e filosofie orientali perché si sente la necessità di recuperare, si dice, la propria “spiritualità”.
Quando nomino l’Anima a qualcuno, di solito osservo due tipi di reazioni contrapposte. C’è chi da una parte storce il naso e alza il muro del dubbio, dicendo di non credere nell’esistenza di queste cose; dall’altra invece vedo brillare gli occhi e colorarsi i volti di chi si “anima” all’istante e si appassiona al discorso. Molto spesso noto che le due risposte sono compresenti: come quando si trattiene una reazione impulsiva per paura di trovarsi “scoperte”, le persone fanno finta di niente e cercano di far rientrare l’anima dentro una logica del discorso che riconduca alla mente o al corpo. Eppure di logico l’Anima ha ben poco, ma non per questo possiamo far finta che non esista.
Il termine “anima” deriva dal greco antico psūkhē o psiche (ψυχή, connesso con ψύχω, “respirare, soffiare”) ed è la versione femminile di animo, la cui etimologia è riconducibile al latino animus con il significato di “spirito”, che a sua volta corrisponde al greco anemos (ἄνεμος, “vento”). Anima e psiche sono quindi sinonimi: entrambi si riferiscono alla parte vitale o energetica, quella psicologica, di un essere vivente, distinta da quella fisica del suo corpo e della materia. Tuttavia col tempo il termine “psiche” ha assunto connotazioni relativamente più fisiche, mentre l’anima è stata collegata più strettamente alla metafisica, alla mistica e alla religione, confondendola con lo Spirito, che però non rappresenta una dimensione psicologica “orizzontale”, cioè tra la parte conscia e inconscia comuni a tutti gli uomini, ma la dimensione “verticale” tra il corpo (il mondo terreno) e il divino.
L’esperienza dell’anima viene da sempre associata sia al corpo e alle sue emozioni (anima come vita, come respiro, come Io), che alla psiche e allo spirito (anima come ombra, come spirito o come sogno). Nella Grecia ellenica e nell’antico Egitto, questi due tipi di anima erano chiamati Ka e Ba, in Cina erano hun e p’o; ai nostri tempi questa distinzione è ancora viva presso le popolazioni che si estendono tra l’Asia continentale e la Lapponia, sulle coste dell’Atlantico e in Siberia, di fronte all’Alaska e presso gli indiani d’America, ma anche presso popolazioni africane. Secondo Arbman e Paulson, etnologi studiosi dell’anima, l’anima-corpo e l’anima-psiche sarebbero due distinte emanazioni che agiscono su sfere diverse dell’esistenza. L’anima-corpo si esprime all’interno dell’individuo cosciente, mentre l’anima-psiche compare solo fuori dal corpo, e non entra in gioco negli stati di veglia cosciente, ma rappresenta la personalità dell’individuo nei sogni, nelle visioni e nelle trance sciamaniche.
Quindi l’anima è originariamente intesa come espressione dell’essenza di una personalità intera, nella sua entità invisibile in unione con il corpo. Tuttavia, a partire dall’età moderna, l’anima venne poi identificata con la «mente» o la coscienza di un essere umano, e in questo modo il problema di dimostrare l’esistenza dell’anima fu fatto sparire del tutto. Potremmo dire che da Cartesio in poi, tutto ciò che ricadeva al di fuori della coscienza, del comportamento misurabile e del pensiero logico-lineare, venne man mano rimosso o tenuto nascosto. Su come questo abbia portato alla nascita delle psicopatologie o “patologie dell’anima”, ho già scritto un post qualche tempo fa. D’altra parte, la necessità di comprendere le psicopatologie portò anche allo sviluppo della psicologia (da psiche+logos, “discorso sull’anima”), come scienza che si occupa, appunto, di descrivere l’anima e i suoi fenomeni.Su come ciò abbia portato alla nascita delle psicopatologie o “patologie dell’anima”, Jung e Hillman hanno scritto tantissimo, e in psicologia archetipica ciò viene riassunto nell’affermazione che “gli dèi sono diventati malattie”. Quello di anima si fa qui un concetto importantissimo, che Hillman come vedremo lega al processo del making soul, un “fare anima” come entrare in rapporto con le immagini della psiche. L’anima è dunque un principio energetico vitale immateriale, tradizionalmente contrapposto al corpo ma religiosamente concepito come ad esso sussistente e resistente alla sua decadenza. Dopo la morte, questa caratteristica dell’anima permetterebbe di entrare nella dimensione verticale spirituale, dando un senso di continuità e immortalità alla vita umana e alla sua condizione materiale. D’altra parte, l’animismo è quel tipo di religiosità, definita primitiva dagli antropologi, che vede un’anima anche negli oggetti apparentemente inanimati. L’idea che ogni oggetto possa avere una sua anima come una sua interiore vitalità ci rimanda a un’idea generalista di anima, legata a quella di una forza che collega e mantiene in relazione le cose del mondo che ci circonda, all’anima mundi come a una forza che esiste tra gli oggetti e gli esseri viventi. Nelle culture arcaiche e polinesiane questa forza è relazionata al concetto di mana, la potenza psichica che hanno certi particolari oggetti considerati sacri proprio per questo motivo, e l’anima serviva quindi a distinguere chi e cosa possedeva questa forza. Nella concezione romantica, l’ “avere un’anima” ci rimanda invece al sentimento del cuore, a una particolare affettività che ci permette di entrare in simpatia e risonanza con l’altro, ma anche alla sensibilità estetica per ciò che dà vita, armonia e bellezza, e quindi stimola la funzione artistica della creazione del bello. Da qui la concezione dell’ “essere senz’anima”, o d’averla perduta, come privazione di quella naturale capacità umana di vedere oltre la banale materialità delle cose del mondo, e di quel senso di bellezza che caratterizza questo processo.
Dal punto di vista psicologico, la scoperta dell’anima non ad oggi è un dato di fatto, ma è qualcosa che si scopre e si guadagna. L’idea di anima passa infatti attraverso un’immagine archetipica, quella di Anima, che permette alla persona di entrare in relazione con il mondo psichico. Quando quest’archetipo si attiva o si risveglia, l’individuo percepisce come la sensazione di entrare nel mondo della psiche. Nei sogni ciò è visto come l’entrare o l’accedere a un luogo diverso o a un’altra dimensione, ad esempio l’entrare in un teatro, un museo o un castello, o in una grotta, una foresta o nell’acqua del mare, a seconda che come luogo psichico l’anima sia caratterizzata nel suo aspetto e nella sua funzione rispettivamente più civile e razionale, oppure irrazionale e selvaggia. L’Anima può anche essere caratterizzata nell’aspetto personale di una figura da seguire o che ci accompagna: una donna o fanciulla, o un uomo o ragazzo, rispettivamente a seconda dell’orientamento sessuale dell’energia che caratterizza questo processo. È dunque una fase evolutiva dello sviluppo psichico umano e del processo di individuazione nel mondo, e come ogni fase evolutiva può essere ritardata o addirittura mancata. L’anima come capacità di riuscire a cogliere il proprio mondo interiore non è soltanto data da una rappresentazione mentale, ma più che altro dal riconoscimento in essa di una funzione che si coglie come interna ma che pone uno sviluppo della relazione tra l’individuo e il mondo circostante. In assenza di una cultura dell’anima, la sua conoscenza in psicologia non passa attraverso una scoperta romantica, ma arriva come un malessere o un sintomo, una malattia, un dolore o un incidente, una crisi o un conflitto, nonché un problema da risolvere. Ciò è dovuto al fatto che l’individuo costruisce l’immagine della propria personalità creando una sorta di abito, una “maschera” o persona attraverso cui esso si confronta da una parte con l’anima e i suoi bisogni, dall’altro con la società e le possibilità che questa gli impone o propone. Attraverso il contrasto tra i nuovi bisogni e i valori e le esigenze che a un certo punto si dimostrano non più importanti ma a cui ci siamo abituati nei nostri atteggiamenti, la scoperta dell’anima viene poi compresa e percepita come la necessità di una ricerca e conoscenza più profonda di sé stessi, nonché di una vera e propria crescita personale e spirituale.
Siamo certi, quindi, che l’anima esista, e i progressi moderni nelle neuroscienze, in psicologia e psichiatria hanno evidenziato l’unità psicofisica delle tre dimensioni corpo-mente-anima, a cui rispettivamente appartengono le funzioni del corpo, quelle mentali e quelle psicologiche. Il corpo e le sue funzioni è l’oggetto di studio della medicina, le funzioni mentali sono studiate dalla psicologia cognitiva e dalla neurofisiologia, e quelle della psiche dagli psicologi e psicoterapeuti non-comportamentisti. Tutte le funzioni sono tra esse collegate, sia nella salute che nella malattia, e sia l’una che l’altra trovano espressione e manifestazione al livello di ciascuna dimensione e nella relazione con l’altro, secondo il modello bio-psico-sociale descritto da Engel già negli anni settanta e oggi in corso di implementazione negli ospedali e nelle pratiche sanitarie assistenziali. Nel disagio e nella malattia, e nella ricerca di una cura e di una terapia, confondere però una dimensione con l’altra non fa altro che alimentare la propria confusione e far “spostare” il proprio disagio su un altro tipo di sintomo o manifestazione. Attenzione perciò: unione di corpo-mente-anima non vuol dire che ogni medico, psicoterapeuta, yogini o sciamano possa essere a suo modo in grado di comprendere le origini del sintomo di una persona e di curarlo, così come di un suo disagio interiore o di una malattia, che si manifesta nel livello specifico di una delle tre dimensioni. Non vuol dire nemmeno che l’uno abbia tecniche o cure migliori dell’altro, e ciò vale specialmente quando il disagio che origina il sintomo risiede nell’anima e appartiene alla sua dimensione.
Tutto ciò è egregiamente narrato da Tiziano Terzani (in un bellissimo libro che vi consiglio di leggere, “Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo”): “Non esistono scorciatoie a nulla: non certo alla salute, non alla felicità o alla saggezza. Niente di tutto questo può essere istantaneo. Ognuno deve cercare a modo suo, ognuno deve fare il proprio cammino, perché uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita”. In questo libro Terzani, affetto da un tumore al colon, racconta il giro del mondo che ha fatto alla ricerca di una cura, passando dalle più moderne macchine americane alla delicata medicina ayurvedica fino all’omeopatia, man mano prendendo coscienza che, inconsciamente, si era messo per l’ultima volta in viaggio per curare una malattia che colpisce tutti, la paura della morte. Come scrive Terzani, “la pace è da cercare dentro”. Ma cosa c’entra l’anima con questo?
L‘anima è la dimensione psicofisica che unisce il corpo alla mente e al mondo esterno. Secondo la terminologia di Carl Gustav Jung , l’Anima è lo spazio in cui il Sé e l’Io si interconnettono. Il Sé rappresenta l’unità e la totalità della personalità nella sua parte conscia e in quella inconscia, e che si produce nella loro progressiva integrazione; l’Io, invece, la parte cognitiva delle funzioni coscienti, che raccoglie gli stimoli esterni. L’Anima è quindi un complesso funzionale della psiche intesa come totalità, che si pone in funzione di mediazione tra gli altri processi della psiche stessa e la soggettività intenzionale. Terzani fa uno straordinario viaggio, quello alla ricerca del Sé, parlando col linguaggio della sua Anima, e muovendosi nello spazio della sua funzione, portando progressivamente alla coscienza, attraverso il suo viaggio, il significato di ciò che dentro di lui era inconsciamente rappresentato sottoforma di malattia: la non-accettazione della propria vecchiaia e della morte. E in effetti, quello che compie l’Anima è un vero e proprio viaggio attraverso la vita, ma in una dimensione psichica parallela.
In questo luogo “altro” dal mondo fisico, transitano emozioni e sentimenti sottoforma di “energie”, che appartengono alla zona dell’inconscio. Quando parliamo di energie riferendoci alla psiche, non dobbiamo pensare a qualcosa di irreale, visto che possiamo registrarle e misurarne gli effetti proprio nella nostra realtà di tutti i giorni. Ad esempio, quando parliamo di paura o di dolore, ci stiamo riferendo a qualcosa che puo’ più o meno agire su noi stessi e sul mondo esterno, transitando da un ricordo, un’immagine o un pensiero attraverso le reazioni psicofisiologiche del corpo, e che puo’ essere misurato in termini di livelli di ansia o di stress, di riflessi psicogalvanici, di reazioni ormonali, di comportamenti osservati, di movimento, di linguaggio, di immagini mentali, di operazioni sulla materia esterna, e così via.
Per usare le parole che userebbero uomini di scienza e di una certa cultura, come J. D. Nasio, Umberto Galimberti o Antonio Damasio, tutto ciò trova nella materia del corpo una sua certa rappresentazione, poiché agisce come simbolo di ciò che accade a un livello non-materiale e non-cosciente, ovvero immaginale, e trova sulla materia biologica e sulla coscienza un suo target di azione. Proprio a questo si riferiva Freud quando scoprì le funzioni e “intenzioni “autonome che la psiche opponeva a quelle coscienti, chiamando “inconscio” tutto ciò che era non-conscio e rimaneva fuori dalla coscienza razionale. Inconscio è dunque il respiro, il battito del cuore, lo scorrere del sangue nelle vene. Inconscia è ad esempio la digestione, il sonno, il volo dell’immaginazione quando col pensiero ci assentiamo. Inconscio è il potenziale d’azione assonale di ogni nostro neurone, e persino il DNA e la sua trascrizione cellulare. Tutte queste cose compongono il nostro corpo e la materia di cui siamo fatti a un livello – incalcolabile – energetico e allo stesso tempo materiale. L’anima è l’espressione di tutte queste attività messe insieme e che, interagendo con le anime degli altri, compongono la vita e decidono come vanno le cose del mondo, racchiudendone tutti i significati.
Ho lavorato per più di dieci anni come neuroscienziato, finché a un certo punto ebbi una crisi che mi spinse a cambiare la mia carriera e a riscrivere la mia storia. Man mano mi accorsi che tantissime persone, arrivate come me alla mezza età, avevano cambiato vita e si erano in un certo senso poi “realizzate” grazie ad un periodo di profonda crisi creativa. Solo per citarne alcune emblematiche nella storia della psicologia: la crisi di Fechner, che a Lipsia lasciò la cattedra di fisica per quella di filosofia; la crisi che colse Freud quando scrisse il suo libro sui sogni e abbandonò gli studi di medicina sulla cocaina e sull’isteria; la famosa crisi di Jung, che lo fece allontanare da Freud per riscrivere il concetto di inconscio, diventando il più grande psichiatra della storia; o come James Hillman, che dopo aver guidato come direttore il C.G. Jung Institute per dieci anni, lascia l’incarico per una profonda crisi interiore e professionale, per poi uscirne con una profonda re-visione della psicologia e del modo di intendere e attuare la psicoterapia.
La crisi interiore è una crisi creativa dell’Anima, che costantemente preme con le sue immagini sulla materia e sul corpo per essere vista e compresa, per farci seguire il suo telos, la sua direzione. È una crisi del significato di ciò che siamo e di ciò che facciamo, poiché è di questo che l’Anima ci nutre. Concentrandoci sulla vita esteriore, ovvero cercando la posizione, il matrimonio, la reputazione, il successo o il denaro, perdiamo di vista la vita interiore, là dove l’Anima ci spinge al nostro benessere con le sue immagini e i suoi significati. Le immagini sono archetipi, simboli dell’incoscio che racchiudono tutta una gamma di significati che costellano la nostra vita intrapsichica, la quale a sua volta agisce sul corpo e ci fa agire nella dimensione fisica del mondo. La nostra crisi è quindi anche una crisi del mondo stesso, perché usando le parole di Hillman, “ciò che è archetipico appartiene a tutta la cultura, a tutte le forme dell’attività umana”. Da qui il concetto di “anima mundi” come principio unificante e vitalizzante della complessità del cosmo, l’ininterrotta connessione atomica di tutto l’esistente, la oneness, l’unità che ha caratterizzato il pensiero sistemico ed ecologico, basti pensare a Wolfgang Pauli, Husserl, Gregory Bateson o Fritjof Capra.
Secondo Jung, l’attività autonoma della psiche è un processo costantemente creativo: “La psiche crea ogni giorno la realtà”. Tutto inizia dal Sé che contiene i nostri talenti, le nostre vocazioni innate, il centro della nostra personalità, e l’Anima come archetipo è al Sé che tende a ritornare. Hillman spiega questo concetto rifacendosi invece al mito di Er narrato da Platone, secondo il quale alla nascita ogni Anima sceglie il suo corpo, ovvero una vita con un destino, e gli viene assegnato un Daemon, un démone che l’accompagna come guardiano, affinchè il destino prescelto trovi compimento nella vita. Il Daemon è la rappresentazione di una funzione psichica del nostro carattere, predisposta a richiamarci al nostro destino e alla nostra vocazione ogni qualvolta ce ne allontaniamo, ovvero quando perdiamo di vista la nostra Anima.
Nasciamo con un potenziale e risorse straordinarie, ma fin da piccoli subiamo condizionamenti, già dal grembo della mamma e nel nucleo familiare, successivamente nelle relazioni sociali e amorose. Maschere, meccanismi di difesa, perdite di energia, quella che gli yogini descrivono come una perdita di collegamento dal terzo chakra, sono tutte distorsioni del Sé, dovute all’inattenzione ai bisogni dell’Anima e ai suoi transiti, che modificano anche il nostro rapporto con gli altri. La cura è tornare ad ascoltare la nostra scintilla, predisponendo ed aprendo la nostra anima all’incontro con il Sé e con le altre persone. Per farlo, le modalità sono diverse, possono passare attraverso la psicoanalisi, la meditazione, il silenzio e l’ascolto, la bellezza della natura, l’arte. Ognuno trova la sua, ma non basta seguire una moda o il consiglio di un altro, né come fa Terzani necessariamente provandole tutte. Bisogna ascoltare la propria Anima e andare contro le proprie paure. Si puo’ “fare anima”, come dice Hillman, ovvero trasformare qualsiasi evento in esperienza, dove l’oggetto dell’esperire non deve essere la sua letteralizzazione, bensì l’immagine che rappresenta, il suo significato. Non ci riavvicinerà alla nostra Anima il fare esattamente ciò che mostrano i nostri sogni, né il ripetere un esercizio di yoga o una dieta vegana, neppure il praticare un certo rito religioso, e in generale nemmeno il cercare di realizzare qualsiasi obiettivo o meta ci prefiggiamo che vada contro la nostra natura. Ciò che conta per l’Anima, e che è in grado di curarla, è l’immaginazione a cui portano queste azioni ed esperienze, grazie al loro significato. Ciò che ci farà stare bene non è il cambiamento della pratica o dell’oggetto, ma del significato di noi stessi e degli eventi della nostra vita.
L’Anima è perciò un principio o una dimensione comune a tutti gli esseri viventi, la cui presenza non essendo visibile è provata dagli effetti che provoca nel cambiamento dei significati che noi attribuiamo alle cose, e non dalla sua diretta percezione. Inutile spiegare l’Anima o dimostrarne l’esistenza in termini matematici o materialistici. Va postulata perché, come nelle formulazioni più recenti e generali della fisica quantistica, essa va oltre i limiti nella misurazione dei valori di grandezze fisiche coniugate. Se c’è un modo per parlare con l’Anima è attraverso il suo linguaggio, fatto di immagini e parole come il linguaggio onirico. Ogni sogno che facciamo di notte puo’ essere letto come un messaggio sullo stato della nostra psiche. Ma anche i ricordi e le riflessioni sono immagini dell’Anima, che si “riflettono” nella nostra mente e che su di essa prendono forma come in uno schermo per essere ri-viste e re-immaginate, come sul palcoscenico di un teatro in cui costantemente è dato, come disse Freud, lo spettacolo dell’inconscio.
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