Tempo fa leggevo un articolo in cui un collega faceva un decalogo del bravo psicologo, dispensando consigli su come sceglierne uno. Alla fine mi sono reso conto che aveva stilato un profilo preciso molto simile al suo: diceva che lo psicologo bravo si spende molto scrivendo articoli sui social, non compare nei provider di servizi di prenotazione per dottori e nelle liste disponibili online come Miodottore o Unobravo, non fa la prima consulenza gratuita, e altre menate come queste.
Aldilà della discutibilità delle ragioni addotte, la sensazione che ho avuto leggendo quell’articolo, così come ogni post che gira su internet proponendo un qualche modello di psicologo “migliore” alla gente, è stata quella di un collega piuttosto preoccupato che la gente scegliesse “bene”, e che quindi proponesse se stesso a modello, giustificando così indirettamente le proprie scelte professionali come “migliori” rispetto a quelle di altri.
Ma perché gli psicologi arrivano a sentire il bisogno di scrivere articoli come questo? Che ne sa uno psicologo di come sono gli altri psicologi per i loro pazienti, aldilà di ciò che essi sanno o credono di sapere per se stessi? Persino le numerose ricerche scientifiche, effettuate nel tempo e raccolte dalla Society for Psychotherapy Research, sulla validità e sugli effetti di psicoterapie e psicoterapeuti differenti, hanno dimostrato che, con un po’ di esperienza, apertura ed empatia, tutti possono avere effetto su qualcuno. Inoltre ogni psicoterapeuta che si rispetti ha il suo supervisore, che lo guiderà a non cadere nelle trappole che il suo narcisismo gli tende. Lascio allora spazio alla vostra immaginazione per dedurre il motivo che li muove nello scrivere articoli del genere.
Qui a me preme piuttosto ricordare un semplice dato di fatto: “Similia similibus curantur” , cioè che i simili cureranno i simili. Jung lo ricorda spesso (ad esempio in “Pratica della Psicoterapia”). Ricorda che il fattore trasformatore della relazione terapeutica è la personalità del terapeuta, e che la sua capacità di curare il paziente deriva interamente dalla sua esperienza personale.
Sarebbe a dire, come Jung precisa più volte, che uno psicologo puo’ portare un paziente fin dove è arrivato lui stesso nel suo percorso personale, e precisamente con quelle stesse problematiche che il paziente gli riporta. Quindi è chiaro che per scegliere un bravo psicologo, cioè quello che sarà “bravo” per un certo paziente, questi dovrebbe prima domandarsi (o magari, perché no, domandare proprio allo psicologo stesso) ad esempio : “Lei si è mai drogato? Che esperienze ha avuto con le droghe?” se il problema è l’abuso di sostanze, “Lei ha mai avuto problemi a letto? Problemi nel trovare il suo oggetto del desiderio? Si è mai sentito dissociato mentre fa l’amore?” se il problema è una disfunzione sessuale, “Lei ha mai avuto tratti e comportamenti psicotici? È mai cresciuto con psicotici in famiglia?” se il problema è un disturbo di personalità di area al limite o psicotica, “Lei ha mai tentato il suicidio? Ha mai perso totalmente la voglia di vivere al punto di lasciarsi morire?” se il problema è una forte depressione con tendenze suicide, e così via.
Di psicologi che hanno studiato ce ne sono tanti, direi tutti. Ma poi i pazienti se ne vanno proprio perché sentono che lo psicologo parla di ciò che ha letto sui libri, parla di storie e miti, parla delle esperienze degli altri, è davvero colto e si spende tanto a scrivere articoli e post sui social, ma di quel disturbo o problema sulla sua pelle in realtà non conosce niente, perché i problemi, per conoscerli davvero, bisogna averli transitati in prima persona.
Jung stesso scrisse: “Nessun manuale può insegnare la psicologia ; la si apprende tramite l’effettiva esperienza. In psicologia si possiede solo ciò di cui si è fatto esperienza nella realtà. Quindi una semplice comprensione intellettuale non è sufficiente, perché si apprendono solo i termini e non la sostanza interiore dell’evento in questione”.
Scrive anche Hillman: “Similia similibus curentur, […] per penetrare un quadro clinico occorre diventare parte di quel quadro, e questo vale sia per la terapia dei casi individuali affetti da una sindrome, sia per la comprensione teoretica di quella sindrome stessa.”
È per questo motivo che io stimo tutti quegli psicologi che sono stati “davvero” psicologi perché, magari, aldilà di quanti libri possano aver letto e di quanto siano bravi a citarne autori e concetti, si sono pure fatti la vita di strada, le tragedie familiari, le crisi d’amore, i disastri relazionali, i suicidi ecc., e non se ne sono dimenticati. Mentre rimango perplesso quando vedo altri psicologi impettiti che scrivono ossessivamente il loro parere su tutto, citando metodi vari, autori e miti che hanno letto, ma che hanno conosciuto solamente sui libri, così come il problema del paziente, cioè che non lo hanno mai “lavorato” direttamente sul campo e su se stessi, diremmo noi archetipici “nel proprio Atanor alchemico”. Non avendo esperienze personali profonde e dirette analoghe a quelle del paziente, da usare per “sentire” il paziente e per intuire ciò che vive e capire ciò che dice, questi psicologi si impettiscono e si rifanno continuamente alle loro opinioni, casomai a ciò che viene scritto sui libri da altri.
Spero di ricordarmi sempre anche d’un altro importantissimo assioma: “Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”, non puo’ esserci nulla nella psiche di un individuo che non sia passato prima attraverso i suoi sensi. Altro motivo per cui il paziente dovrebbe scegliere lo psicoterapeuta in base alla sua esperienza personale – non professionale, ma proprio nella storia personale! – con la malattia o con il problema che gli porta, piuttosto che per quello che scrive sui social. La relazione terapeutica allora sì che sarà l’attuazione di un modello archetipico, quello del “Guaritore-Ferito”: come dicevano gli antichi, il Dio che costella una malattia è anche il solo che puo’ toglierla, e nella coppia terapeutica il terapeuta rappresenta la malattia stessa, e la malattia è il guaritore che curerà il paziente. Hillman spiega bene questo processo in “Re-visione della Psicologia” (pagg. 142-144). Peccato che molti di questi che citano Jung e Hillman a profusione finiscano per scrivere articoli e citarli solo per pubblicizzarsi, senza poi considerarne la portata dei precetti, ovvero senza poi procurarsi di vivere la propria psicopatologia come prima risorsa con cui lavorare quella del paziente.
Ma andiamo avanti nella vostra scelta. Se faceste come proposto dagli psicologi che sui social propongono modelli di “psicologo bravo”, ovvero nella vostra ricerca di uno psicologo iniziaste a scartare:
1) gli psicologi che si pubblicizzano, ovvero quelli che forse hanno bisogno di farsi trovare da chi sta avendo le stesse esperienze personali e in base a questo sta cercando lo psicologo “giusto”;
2) gli psicologi che non si spendono a scrivere assiduamente di nozioni di psicologia, perché evidentemente non sono dominati dal dèmone del professionismo, o più probabilmente perché non sono di penna facile o non hanno tempo;
3) pure gli psicologi che offrono un incontro conoscitivo gratuito, perché magari vogliono spendersi diversamente dallo scrivere articoli promozionali sui social, o semplicemente per capire se in base alla loro capacità ed esperienza sono in grado di accogliere la domanda di aiuto del paziente o altrimenti inviarlo a un altro professionista senza dovergli far pagare l’invio come una seduta;
insomma così facendo stareste seguendo un metodo preciso, e non il vostro proprio patos-logoi, la vostra patologia ovvero il logos della vostra anima, che invece vi chiede affinità, accoglienza e riconoscimento delle stesse esperienze di sofferenza da voi vissute.
Hillman, e prima di lui Jung, dissuadono fortemente dal seguire qualsiasi metodo nella costruzione di una terapia: l’unico metodo efficace è seguire il sintomo, “la via regia verso la psiche”. Mi pare che invece gli articoli che suggeriscono come scegliere uno psicologo siano sempre la presentazione di un metodo che, a guardare meglio, sempre porta in fondo il nome di chi l’ha scritto. Forse proprio per dissuadere i futuri pazienti dal seguire la propria anima (e i suoi legittimi dubbi) nella loro scelta, per seguire piuttosto il sottoscritto senza incertezze. Lo psicologo è nel vostro sintomo, seguitelo in voi stessi. Allora forse troverete il professionista che farà a modo vostro.
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