Sulla coscienza, un breve racconto verso la totalità

Cosa significa “coscienza” al di là delle teorie neurofisiologiche? Partiamo dal mito e passiamo per la filosofia, la fisica moderna e la psicologia archetipica.

Il mito

Secondo il racconto del poeta Ovidio nelle sue “Metamorfosi” l’umanità si è evoluta passando per vari periodi storici. Immagina e racconta di quattro epoche specifiche che noi possiamo analizzare in chiave psicologica, come una sorta di evoluzione della coscienza umana. La prima epoca di cui parla è l’età dell’Oro, era il periodo in cui l’uomo viveva a stretto contatto con la natura, unica forma di sostentamento, non c’era punizione e paura ma onestà e rettitudine, si viveva in un’eterna primavera. In questa descrizione emerge una profonda armonia tra la natura incontaminata e la psiche arcaica, potremmo dire un’armonia cosmica in cui il primitivo era immerso e di cui faceva esperienza. Jung (1927) ci fa notare con l’idea di “partecipation mystique” dell’antropologo Levy-Brhul tale condizione descrivendo alcune dinamiche psicologiche che coinvolgevano gli abitanti del monte Elgon, in Africa orientale. Gli Elgoni infatti vivevano ancora in uno stato originario e la nascita del sole coincideva con un’esperienza interiore di rinascita oltre che la nascita di un dio, la notte di contro era vissuta con angoscia e identificata con la perdita della vitalità. La seconda epoca è quella definita dell’Argento. Qui Saturno è già stato esiliato e Giove crea le stagioni. La primavera diventa breve e in questa epoca l’uomo impara a coltivare la terra, la sua coscienza è pari a quella di un bambino e nasce l’idea di ripararsi dalle fluttuazioni metereologiche attraverso le abitazioni, ma invecchia rapidamente e non vive a lungo. Nell’età del Bronzo comincia a lavorare i metalli, e inizia a sorgere una base per l’individualismo e quello che Ovidio definisce crudeltà. Nell’età del Ferro sarà capace di estrarre e di fondere questo metallo. In questa era domina la guerra e l’umanità sprofonda nell’empietà, e sarà un’epoca dominata da inganni, violenze e sotterfugi. Metaforicamente nasce l’impero dell’ego che diventa la sede della coscienza in una previsione mitica nefasta per lo sviluppo psicologico dell’uomo. Noi contemporanei possiamo riconoscersi nella lettura poetica di Ovidio. Le sue metafore anticipano quello che è accaduto alle generazioni future. La sua è un’immaginazione che profuma di profezia viste le sofferenze psicologiche e della natura ai nostri giorni, generate dall’impero dell’ego che ha usurpato il regno dell’anima. Hillman in “Le storie che curano” del 1983 insegna però che le narrazioni sono prima di tutto casi clinici, ovvero emanazioni o proiezioni di immagini archetipiche che configurano la psiche di chi narra.

Contributi filosofici

Nel XX secolo il filosofo e linguista Jean Gesber (1949) ha paragonato il divenire della coscienza a quello che avviene nei meccanismi biologici, con balzi improvvisi si passa da una condizione a un’altra. Lui non riconosce la dimensione evolutiva, le sue non devono essere chiamate fasi come ad esempio avviene nelle teorie dello sviluppo. Piuttosto preferisce chiamare le strutture di coscienza “mutamenti” e la coscienza, che deriva dalla percezione dello spazio e del tempo, non sopprime mai una condizione precedente. La coscienza è “presenza vigile” dove i pensieri, le immagini psichiche possiamo dire, non hanno scopo utilitaristico e intenzionale, simile alla descrizione che fa Jung in “Simboli della trasformazione” (1912-1954) del fantasticare o immaginazione spontanea, fondamentale come il faticoso pensiero indirizzato e logico (un pensare per gli altri). Gesber individua cinque strutture di coscienza. La prima viene definita Arcaica, l’inizio, ed era paragonabile a un sonno profondo senza sogni. Qui non esiste un ego, un tu, ma un “tutto” dove si vive una simbiosi come nel ventre materno. La seconda struttura viene detto periodo Magico; l’uomo è separato dalla natura ma ne è comunque collegato e con fantasie di possederla, sorgono in questa fase le pitture rupestri in cui le scene di caccia non presentano un individuo ma un “noi”. La sua struttura è unidimensionale come il simbolo del punto. Nel periodo Mitico l’uomo si percepisce nel tempo, musica e poesia si diffondono e si cominciano a esplorare i misteri della mente umana, comincia a sentirsi come dotato di anima. Nasce l’Induismo e le grandi religioni mediorientali. La sua dimensione è bidimensionale e il simbolo sarebbe il cerchio. Nell’epoca cristiana e romana nasce l’idea dell’individuo (l’ego) un esempio sono la diffusione dei busti e di ritratti. La coscienza di sé aveva sede nel cuore in Grecia, ora risiede nella testa. Ciò conduce all’auto biografia (Confessioni di S. Agostino) e l’uso del monologo interiore con Shakespeare. Anche l’isolamento dalla natura e la percezione del tempo sono conseguenze di questa evoluzione. Questa era la definisce della Coscienza Mentale. Questa struttura può essere rappresentata dal triangolo, l’uomo esce dallo spazio bidimensionale del cerchio e scopre la tridimensionalità, come a dire esce dalla realtà dell’anima il cui simbolo può essere il mandala, per entrare nella realtà dell’ego. La fase successiva sarà la Coscienza Integrale che ricapitola in sé le quattro strutture precedenti, in cui l’uomo sarà capace di assumere più punti di vista o strutture di coscienza contemporaneamente (come anticipato dai dipinti di Picasso o dal principio di sovrapposizione di più stati della fisica quantistica ci dice magistralmente Peat, 2014). Il suo simbolo sarà la sfera e la sua dimensione sarà quella quadrimensionale.

La realtà della coscienza sarà “integrata”? Corbin (1986), uno dei padri con Jung della “Psicologia Archetipica” secondo il suo fondatore Hillman, offre immaginari similari a quelli descritti in precedenza. Lo studioso francese parla di punti di vista e ne distingue tre: il primo lo chiama differenziazione, una coscienza ingenua che distanzia le cose da sé e ne delibera sul loro concetto. L’individuo che inflaziona questa modalità si concentra sull’albero senza considerare la foresta, o vede le lettere senza riconoscere tutto l’inchiostro. Il secondo punto di vista lo definisce integrazione, qui l’individuo non vede l’albero ma la foresta, non legge lettere ma vede l’inchiostro. Infine lui la chiama “integrazione dell’integrazione” quella capacità di passare dal tutto indifferenziato al tutto differenziato e alternare queste visioni che fanno dell’uomo un saggio integrale: dall’uno al molteplice e dal molteplice all’uno per avere una prospettiva totale della realtà e della sua coscienza.

La coscienza e il parere dei fisici

Altre prospettive che possiamo prendere in considerazione sono quelle di numerosi fisici e scienziati che si interrogano sulla natura della coscienza e di come questa possa essere connessa al mondo infinitesimale della materia. Tali argomentazioni sarebbero in linea con le riflessioni sulla sincronicità che provengono dal confronto tra Jung e Pauli sull’unione psiche-materia come coscienza unitaria.

Per il professor Carr (2003) della School of Mathematical Sciences, Queen Mary, Università di Londra, in una conferenza tenuta a Euro-Pa, la coscienza e i fenomeni di sincronicità definiti però da lui chiave parapsicologica, riguardano il problema dell’unione Coscienza-Universo ovvero una realtà considerata come coscienza totale o integrata alla materia. Una questione cruciale sarebbe per lui se la fisica, nella sua forma presente o futura, sarà mai in grado di accogliere i fenomeni psichici. Lo farà, ma che ciò richiederà qualcosa di più del semplice armeggiare con l’attuale paradigma della fisica (cioè più che invocare semplicemente onde elettromagnetiche, tachioni, wormhole, teoria quantistica standard ecc.). Invoca un nuovo paradigma atto a modificare la nostra nozione di realtà basata sul senso comune. La dicotomia standard tra materia e mente è sorta in un momento in cui si poteva adottare la visione semplicistica secondo cui l’arena della realtà è lo spazio tridimensionale. Tuttavia, dice, da allora la visione del mondo dei fisici è cambiata profondamente ed è chiaro che i nostri sistemi sensoriali fisici rivelano solo un aspetto molto limitato della realtà. Nella “teoria M”, per Carr, il numero totale di dimensioni è 11, mentre nella teoria delle “superstringhe” è 10. Si ha quindi uno spazio “esterno” a 4 dimensioni e uno spazio “interno” a 6 o 7 dimensioni. Nella variante più recente di questa idea, proposta da Randall e Sundrum, le dimensioni extra potrebbero non essere nemmeno compattate e l’Universo fisico viene considerato come una sorta di “brana”(cioè un’entità fisica che può avere qualsiasi numero di dimensioni) quadridimensionale. Questo sarebbe per Carr molto lontano dalla visione ingenua della realtà adottata dagli studiosi materialisti riduzionisti che respingono i fenomeni psichici a priori. Quindi si chiede che tipo di paradigma sarebbe necessario per accogliere la psi? Una caratteristica essenziale è che deve coinvolgere la coscienza, poiché questa è alla base di tutte le esperienze psichiche. Già questo la pone ai ferri corti con quei fisici (la maggioranza) che affermano che siamo vicini a una “Teoria del Tutto”, poiché tali teorie non fanno alcun riferimento alla coscienza. Un’altra caratteristica del nuovo paradigma è che deve coinvolgere una sorta di struttura della realtà dimensionale superiore. Questo perché molti fenomeni psichici (es. OBE, NDE, apparizioni) sembrano coinvolgere qualche forma di spazio comune, che non è la stessa cosa dello spazio fisico ma interagisce sottilmente con esso. L’esistenza della telepatia per esempio secondo il professore suggerisce anche che le nostre menti fanno parte di uno spazio comune piuttosto che essere totalmente individuali. Questa “Struttura Universale”, come la chiama Carr, può essere considerata come uno spazio informativo dimensionale superiore che riconcilia tutte le nostre diverse esperienze del mondo. Include necessariamente lo spazio fisico, ma anche regni non fisici a cui si può accedere solo con la mente (con la psiche archetipica o anima diremmo noi psicologi per far riferimento ai fenomeni spontanei di sincronicità). Propone dunque che la struttura della realtà dimensionale superiore per accogliere le esperienze psichiche sia connessa con lo spazio dimensionale superiore invocato dalla fisica moderna. Perché se i nostri sensori fisici ci forniscono solo un aspetto tridimensionale di un Universo che in realtà ha molte più dimensioni, e se gli oggetti fisici occupano solo una parte limitata di quello spazio dimensionale superiore, cos’altro può esistere in questo spazio? Poiché le uniche entità non fisiche nell’Universo di cui abbiamo esperienza sono quelle mentali, e poiché l’esistenza di fenomeni psichici suggerisce che le entità mentali devono esistere in una sorta di spazio, sembra naturale riferire questo alla nozione di spazio Kaluza-Klein (la teoria di Kaluza-Klein spiega l’elettromagnetismo aggiungendo una quinta dimensione). Nello specifico identifica una “Struttura Universale”, una sorta di anima cosmica o inconscio collettivo diremmo con l’ipotesi di Jung che unisce psiche e materia, con la “massa” dimensionale superiore della teoria di Randall-Sundrum. Ciò avrebbe profonde conseguenze per la fisica, la psicologia, la parapsicologia e la filosofia, conclude il professore. Possiamo leggere simbolicamente le numerose dimensioni che vengono raccontate, come realtà psichiche molteplici, in analogia con i punti di vista o strutture di coscienza di cui si parlava in precedenza.

Ancora altri contributi. Vediamo cosa dice dice Robert Lawrence Kuhn (2024) nella p. 35 di “Progressi in biofisica e biologia molecolare” (trad. italiano) citando vari contributi di fisici quantistici e rendiamoci conto quanto siano vicini nei significati a quelli della psicologia, paragonando cosmo e psiche nel modo di “individuarsi”. Si chiede Kuhn, esiste una posizione esplicativa in cui la coscienza non era fondamentale ab initio, ma quando è emersa diventa inevitabile, più che un sottoprodotto accidentale dei processi fisici? Dice che alcuni studiosi vedono nella grande evoluzione del cosmo un processo in cui i suoi elementi – o, più radicalmente, il cosmo stesso – lavorano per rendere il cosmo sempre più consapevole di sé. Alcuni fondatori della teoria quantistica hanno notoriamente considerato la coscienza come fondamentale. Vediamo come alcuni padri fondatori della fisica quantistica si sono cimentati sull’argomento della coscienza, Max Planck ha detto: “Considero la coscienza come fondamentale. Considero la materia come un derivato della coscienza. Non possiamo andare dietro alla coscienza. Tutto ciò di cui parliamo, tutto ciò che consideriamo esistente, postula la coscienza” (The Observer, 1931a). Erwin Schrodinger si esprimeva così: “Anche se penso che la vita possa essere il risultato di un incidente, non lo penso della coscienza. La coscienza non può essere spiegata in termini fisici. Perché la coscienza è assolutamente fondamentale. Non può essere spiegata in termini di altro” (The Observer, 1931b). Inoltre, “il numero totale di menti nell’universo è uno. In effetti, la coscienza è una singolarità che si muove all’interno di tutti gli esseri”. Secondo Arthur Eddington: “Quando parliamo dell’esistenza dell’universo materiale presupponiamo la coscienza”. (The Observer, 1931c). E ancora Louis de Broglie: “Considero la coscienza e la materia come aspetti diversi di una stessa cosa” (The Observer, 1931d).

La coscienza come psiche, cosa dice la psicologia archetipica

Accadrà quanto espresso da questi eminenti studiosi ovvero una coscienza integrata attraverso una scienza che lavora con la totalità psiche-materia? Sicuramente gli psicologi si occupano di psicologia, e questa totalità dovrebbe prima di tutto essere sperimentata nella psiche degli individui tra contenuti psichici e livelli psichici. Gli analisti che lavorano con i contributi di Jung e Hillman sanno che la tendenza all’unità della psiche, o meglio la sua tendenza intrinseca all’armonia delle parti psichiche è direttamente proporzionale alla patologizzazione dice Hillman (1975), ovvero la tendenza innata della psiche a creare malattie, disgregazione, prospettive deformate, e a vedere sé stessi e il mondo attraverso questi “occhi”. Quindi in analisi l’individuo potrebbe avvicinarsi alla coscienza integrata attraverso i sintomi psichici e la conseguente psicoterapia. Vediamo quali simboli archetipici possono essere base fenomenologica (strutture ontologiche dell’immaginario) di quanto abbiamo espresso.

Sappiamo dall’analisi di Jung che uno dei simboli alchemici che rappresenta meglio quanto stiamo dicendo sarebbe la “coda di pavone”. Con l’ausilio dell’alchimia, ricca di metafore psichiche, viene fatto riferimento da Jung (1946-1954) alle scintillae dell’anima universale che si presentano secondo Khunrath nella sostanza arcana; esse vengono chiamate anche semi di luce diffusi nel caos, scintilla infuocata dell’anima del mondo, l’intelletto umano viene definito anch’esso scintilla. Siamo di fronte per Jung all’intuizione di una natura psicologica dell’Opus, ovvero la scoperta da parte degli ermetici di immagini archetipiche provenienti da un’anima cosmica o collettiva, come filosoficamente lo sarebbero le eidos di Platone. Il termine eidos per i greci significava ciò che vedo (l’oggetto visto) e “come” lo vedo, ovvero non siamo mai in grado di osservare qualcosa se non con una prospettiva psichica che orienta la visione, come avviene in fisica delle particelle con l’esperimento della doppia fenditura. La “cauda pavonis” viene analizzata da Jung in “Mysterium Coniunctionis” (1955) per esprimere il raggiungimento della fase bianca, letta come metafora psichica sarebbe la capacità dell’individuo di riconoscere (diventare cosciente e quindi avere una coscienza integrata come sostenevano Gesber e Corbin) i numerosi occhi dell’anima che riflettono il suo essere, nel tendere verso l’unità di “un insieme di coscienze”. Possiamo anche dire gli “dei” come archetipi, come eidos o immagini archetipiche, che ci definiscono e ci fanno creare una realtà interiore e concreta. Essi sono alla base della nostra immaginazione e orientano i nostri affetti e propositi: la nostra vita.


Note bibliografiche

Cfr., Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 76-125.

Cfr., Jung, 1927, Die Struktur der Seele, La struttura della psiche, in Opere vol. 8, La dinamica dell’inconscio, Boringhieri, 2012, pp. 172-173.

Gesber, 1949, Ursprung und Gegenwart, (The Ever-Present Origin), Ohio University Press, 1991.

Mantovani, Jean Gesber: le stratificazioni della coscienza, www.biosferanoosfera.it

Cfr., Corbin, 1986, Il paradosso del monoteismo, Mimesis, 2010, pp. 37-38.

Cfr., Peat, Sincronicità, Magi, 2014, pp. 29-30.

Cfr., Carr., Is there space for psi in modern physics? Abstract of talk given at Euro-PA conference, November 2003, https://www.tcm.phy.cam.ac.uk/~bdj10/psi/carr2003.html.

Cfr., Hillman, 1975, Re-visione della psicologia, Adelphi, 1992, p. 57.

Cfr., Kuhn, Progressi in biofisica e biologia molecolare, (trad. italiano), 190, 2024, pp. 28-169; 35.

Cfr., Jung, 1946-1954, Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, paragrafo 6, “Inconscio come coscienza multipla”, in Opere vol. 8, cit., pp. 209-2013.

Cfr., Nicolò, La realtà dell’anima, il connubio psiche-materia nel processo d’individuazione, pp. 64-68.

(Immagine: Pablo Picasso, Maria Teresa in berretto rosso con pompon, 1937)

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