Dove cercare la psiche? Una riflessione analitica-archetipica

La scienza neurofisiologica definisce l’attività cerebrale come l’insieme delle connessioni neuronali che permettono la propagazione degli impulsi. Ciò risulta però estremamente carente nel dare una spiegazione deterministica, sull’origine o l’essenza della consapevolezza di fare esperienza psicologica. Tale problema infatti lungi dal potersi risolvere senza l’intervento di varie discipline che ne permettono la descrizione con molti più punti di vista. L’esperienza di sé implica prima di tutto la differenziazione dei contenuti psichici che riguardano l’essere umano in ogni tempo e luogo, ovvero le fondamenta eterne del fenomeno che chiamiamo “psiche”.

Secondo il modello Analitico Archetipico la conoscenza dei contenuti psichici, espressione della realizzazione della totalità psichica (il Sé per Jung), risulta possibile nel corso dell’esistenza dell’individuo, attraverso il percorso di inevitabile svelamento dell’“essere” definito principio individuationis elaborato dallo stesso Jung. Anche la conoscenza o la scienza affrontano un processo d’individuazione che riguarda l’intera specie umana dalle sue origini. La teoria dei complessi e il successivo salto di significato compiuto dall’idea di inconscio collettivo in cui risiedono gli archetipi, fondano archetipicamente l’esperienza che ogni essere umano fa dei propri contenuti in stretta relazione con un principio fondamentale di definizione dei fenomeni legati alla psiche: la spontaneità degli eventi psicologici che ne strutturano la loro autonomia. Il problema degli archetipi in psicologia, in linea di massima accettato anche dagli scienziati meno legati ai dogmi della conoscenza materialistica, descrive in modo altamente sofisticato il fattore ancestrale, costante e strutturante della psicologia collettiva. Riguarda gli uomini nella prospettiva eterna (ovvero l’assenza della variabile temporale) di quello che per convenzione gli studiosi definiscono col termine greco psyche e latino anima. Se i movimenti comportamentisti cercano la psiche nei comportamenti, si troverà necessariamente dove verrà collocata; se verrà definita come epifenomeno del cervello, sarà quella la sua dimora; se al cervello e al funzionamento neuronale chiederemo con la nostra indagine di parlarci di anima, ci risponderanno che essa si troverà nei processi cognitivi. Il motivo di quanto stiamo proponendo è che la psiche sarebbe sempre un a priori di ogni forma di conoscenza, e sarà sempre un’idea che consentirà di trovare quello che cerchiamo.

Tali risvolti, coadiuvati dalla letteratura di James Hillman, non consentono con certezza la collocazione esclusiva della fenomenologia psichica nell’organizzazione neuronale o nei comportamenti, ma piuttosto, questi, si paleserebbero in accordo con una natura intrinseca (autopoietica): infatti con l’analisi del costrutto d’interazione osservatore e oggetto osservato tipico dell’indagine sulla fisica delle particelle, si assiste ad una fusione di livelli di interazione psiche e materia che ne rende impossibile, se non con l’esclusione conoscitiva di alcuni parametri, avere una determinazione assoluta del comportamento di tali oggetti naturali. Anche i contenuti psicologici come spontanei fenomeni naturali sono oggetti osservati da chi ne fa esperienza senza possibilità di distinzione tra fenomeno psichico e atto osservativo.

Stiamo parlando dei vari contributi della fisica quantistica rispetto all’essenza psicologica dell’osservatore umano inscindibile dall’evento fisico infinitesimale, senza cui non sarebbe possibile neanche la sua esistenza. La psiche o anima sarebbe il fattore che rende possibile l’esperienza come riferito da Jung[1] e Hillman[2], o addirittura dovremmo aggiungere renderebbe possibili gli eventi microfisici generandoli? La risposta può solo arrivare dunque dalla comprensione dell’essenza della psiche, e sono numerose le ipotesi psico-fisiche che discutono scientificamente della possibilità di una coscienza o psiche primordiale come dimensione senziente (non intesa ingenuamente come entità antropomorfica, ribadiamolo) che sarebbe la causa prima della materia dell’universo, entro cui l’umano vive e porta nel suo involucro materiale (il corpo) quella “scintilla di luce” che chiamiamo anima, che deriva dalla fonte originaria della materia cosmica, richiamando il platonismo e correnti di pensiero affini. Il fattore primario dell’osservazione, la psiche, dunque perché è stato rimosso dalle discipline scientifiche fino a sfociare nella non esistenza? Secondo Jung[3] questo accade nella rivoluzione positivistica ottocentesca, in cui la natura nel suo senso fisico, psicologico e metafisico, doveva essere assoggettata e controllata dall’uomo. In generale sarebbe opportuno nell’indagine psicologica, così come avviene in fisica quantistica, considerare l’impatto della strutturazione di raffinati concetti o degli strumenti di misurazione che rischia di allontanare la conoscenza oggettiva della realtà fenomenica. Il risultato in questo scenario: la psiche non viene conosciuta perché viene anteposta l’idea che la osserva e mentre la osserva (la) definisce e la crea. 

È sicuramente nobile raggiungere degli obiettivi di conoscenza, ma spesso completamente diversi da quello che si vuole indagare nelle ipotesi di partenza. La psiche non la si riesce a imbrigliare in un metodo, in un concetto o teoria, in una porzione organica e nemmeno nella demolizione dei correlati anatomici cerebrali per indagarne gli effetti per sottrazione di abilità cognitive, laddove quello che si intende con i fenomeni cognitivi non sarebbe assolutamente assimilabile con la totalità dei fenomeni psichici. Ribadito numerose volte da altre discipline come la filosofia antica (la scienza arcaica) e le teorie sul funzionamento della psiche di autori della psicologia del profondo (Jung e Hillman). Nella clinica della psicologia archetipica sogni, sintomi, narrazioni sofferenti e non, presentano sempre motivi ricorrenti archetipici, dove si proietta l’anima, il suo specchio. Un modo di intendere dove cercare l’essenza psicologica, nell’attività inesauribile delle proiezioni di fantasie archetipiche, impresse nella psiche e forse anche nella materia come asserito da numerosi fisici.

Conclusioni

In accordo per esempio con i teorici della complessità, rivolgo particolare attenzione a Morin, è possibile intendere epistemologicamente uno studio sulla struttura della psiche, avvalendosi di teorie e metodologie che propongono una visione d’insieme rispetto a dinamiche ancora non individuabili dagli organi di senso umani. Infatti non a caso viene spontaneo confrontare per Pauli[4], il processo interno del manifestarsi a coscienza di contenuti con l’atto osservativo nella sperimentazione in fisica, considerando gli strumenti come estensione tecnologica degli organi di percezione sensoriale dell’essere umano, citando Jordan con il suo Verdrängung und Komplementarität,1947. Con quanto proposto concordo per onestà intellettuale e amore per la conoscenza: gli strumenti scientifici da laboratorio sarebbero in modo semplice e logico, un’estensione degli organi di senso umani resi possibili dallo sviluppo della tecnologia. E sarebbero collegati a uno più elementi immaginali (fantasie archetipiche) che consentono di osservare, cogliere e narrare un determinato fenomeno: l’inconscio o fantasie archetipiche si proiettano così nel fenomeno. I problemi fondamentali di questo inesauribile tema della conoscenza umana stanno prima di tutto nella terminologia che si utilizza: bisogna infatti fare una netta distinzione degli ambiti disciplinari e gli oggetti da indagare, ma sarà sempre la psiche l’origine dei propositi umani e a cui torneranno i significati che la conoscenza implica. La consapevolezza del nostro essere nel mondo e lo svolgimento della nostra vita attraverso lo spazio e il tempo vanno ricercati con molta probabilità anche nell’analisi archetipica del mondo fisico microscopico e macroscopico in accordo con autori come Conforti e Kaufmann: è noto il detto alchemico afferente alla cultura ermetica “come in alto così in basso, se vuoi conoscere i segreti della Cosa Una”.


[1] Jung, 1934/1954, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, in Opere 9, I, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, p. 25.

[2] Hillman,1989, Anima, anatomia di una nozione personificata, p. 92-93.

[3] Cfr., Jung, 1946/1954, Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, in Opere 8, p. 88.

[4] Cfr., Pauli, 1954, Aspetti scientifici e gnoseologici dell’inconscio, in Pauli, 1961, Fisica e conoscenza, p. 128. Citato in Nicolò, I Fondamenti Psicologici della Fisica Moderna, IV ed., p. 83.

(Immagine: Salvador Dalì, Galatea e le sfere. 1952)

8 risposte a “Dove cercare la psiche? Una riflessione analitica-archetipica”

  1. Avatar Stefano Cobianchi

    Nel definire la psiche come un “a priori”, origine e destino finale di ogni modalità di conoscenza, postuliamo quindi l’esistenza di una oggettività e della sua ontologia come oggetto dell’analisi analitica archetipica. L’ontologia della psiche starebbe nel linguaggio stesso, nelle immagini, e in tutte le cose che si fanno soggetto-oggetto di conoscenza. La mia domanda vuole qui essere provocatoria: come facciamo a spazzare via da un’analisi così come da una ricerca psicologica la visione ego-centrica della stessa conoscenza psicologica, nonché la coscienza come oggetto di analisi e ricerca psicologica? Come fa l’analisi archetipica a restare fuori dal soggettivismo e dai fenomeni della coscienza, a cui viene comunemente ricondotta la stessa conoscenza della psiche? In breve, come si fa in analisi a conoscere l’oggetto senza passare per il filtro del soggetto che lo osserva?

    1. Avatar PIERLUCA NICOLO'
      PIERLUCA NICOLO'

      “La mia domanda vuole qui essere provocatoria: come facciamo a spazzare via da un’analisi così come da una ricerca psicologica la visione ego-centrica della stessa conoscenza psicologica, nonché la coscienza come oggetto di analisi e ricerca psicologica?”

      L’importante e’ forse definire che ego-soggetto viene inteso come un insieme di soggetti psichici che dovrebbero essere ri-conosciuti e che vengono chiamati in ordine temporale di definizione (Jung e Hillman) complessi-archetipi-immagini archetipiche. Definire quale prospettiva di questa pluralita’ ontologica sta osservando l’oggetto nel “qui e ora” aiuta a liberarci dall’inflazione dell’autoconservazione conflittuale (soggetto-ego) e accettare la natura intrinseca dei contenuti psicologici (psiche oggettiva). Di base gli autori citati sono convinti che non si e’ mai oltre il soggettivismo, purche’ si consideri l’alternanza delle prospettive archetipiche (soggetti) che sono attive in uno specifico momento, e che possono essere rintracciate in ogni proposito-esperienza umana (in psicoterapia: sintomi, narrazioni, affetti, idee, pensieri, sensazioni, sentimenti, traumi e sogni). Avere coscienza come lei dice, e’ essere consapevoli che una fantasia archetipica-immagine-archetipo e’ sempre in atto in quella esperienza soggettiva continuativa della vita che punta all’autoconservazione a ogni costo. Ogni prospettiva o proposito umano esprime fattori e fatti archetipici, differenziandoli di volta in volta forse si ridurrebbe l’esigenza autoconservativa. Quello che lei definisce coscienza, sarebbe psiche che si rispecchia nelle tante prospettive archetipiche e che fa esperienza psicologica consapevolmente attraverso tale pluralismo.

      1. Avatar Stefano Cobianchi

        Grazie per la sua esauriente risposta. Me ne consegue una domanda più specifica: e nell’analisi del sogno come strumento precipuo della psicologia del profondo? Tento una bozza di risposta: l’analisi degli immaginari psichici (onirici) nella loro ontologia, ovvero attraverso l’amplificazione (es. nel linguaggio del mito o dell’alchimia), sarebbe il metodo attraverso cui avverrebbe la scomposizione del punto di vista soggettivo auto-conservativo nel pluralismo delle varie prospettive archetipiche. Secondo lei, è per questo motivo che Hillman pone alla base teorica della pratica archetipica la fiction e il fare finzione come narrazione psicologica, nonché il fare terapia come se si fosse sempre immersi in un sogno e in una prospettiva onirica?

        1. Avatar PIERLUCA NICOLÒ
          PIERLUCA NICOLÒ

          Plausibile. Per fare “psiche” degli eventi del resto, bisogna considerarli “simbolici” e amplificarli come si fa con la trama e i personaggi che appaiono nei sogni. Il sogno come mito personale e il mito come sogno originario di un’intera civiltà come propose Abraham (Sogno, mito simbolo) per scopi diversi forse rispetto a quelli della psicologia archetipica.

  2. Avatar Riccardo Brignoli

    Nicolò scrive: “Sono numerose le ipotesi psico-fisiche che discutono scientificamente della possibilità di una coscienza o psiche primordiale come dimensione senziente (non intesa ingenuamente come entità antropomorfica, ribadiamolo) che sarebbe la causa prima della materia dell’universo, entro cui l’umano vive e porta nel suo involucro materiale (il corpo) quella “scintilla di luce” che chiamiamo anima, che deriva dalla fonte originaria della materia cosmica, richiamando il platonismo e correnti di pensiero affini”.
    Si fa riferimento ad un confine oltre il quale lo psichico sarebbe causa e origine dello stato fisico degli eventi. Mi domando se non si possa considerare invece una interazione continua come pensata dal fisico Roger Penrose: il mondo fisico è una particolare condizione del mondo matematico o delle idee, il mondo psichico è una particolare condizione del mondo fisico e il mondo matematico sarebbe una particolare condizione del mondo psichico. In una simile relazione il mondo fisico sarebbe incluso nel mondo matematico ed includerebbe il mondo psichico. Siccome il mondo psichico includerebbe il mondo matematico e l’inclusione costituisce un fattore di conoscenza che permette d’intervenire su quel mondo, per agire psichicamente sul mondo fisico si deve passare per il mondo matematico o delle idee. In questo passaggio l’immaginazione e il mundus imaginalis troverebbe la sua collocazione. Così si potrebbe capire meglio l’esigenza della psicologia di passare per il mondo delle idee ma non ridursi ad esso. La messa in relazione di queste tre dimensioni aiuta anche a trovare nuovi punti di vista per uscire fuori dal problema del soggettivismo.

    1. Avatar Stefano Cobianchi

      Tenendo conto che gli animali modificano il mondo fisico senza necessariamente passare per il mondo delle idee ma per altri sistemi creativi preordinati, mi sembra che però secondo questa concezione il mondo psichico si ridurrebbe al mondo delle idee e a quello dei numeri, mentre a mio avviso la sincronicità è un meccanismo che già unisce il mondo psichico al mondo fisico in tutti i suoi livelli e manifestazioni (immagini, idee, numeri, ecc.). Ma che cos’è la sincronicità da questo punto di vista? Chiamiamo un attimo in causa il mondo delle immagini o Mundus Imaginalis, suppostamente posto tra il mondo fisico e quello metafisico. Se un fenomeno fisico crea energia e l’energia può essere riprodotta in immagini, idee, numeri ecc, allora sono le sincronicità ad essere il veicolo che unisce i vari mondi, interagendo continuamente tra di essi come Penrose dice. Se io ho l’immagine di un albero, non sto già agendo sia nel mondo fisico che in tutti gli altri? E non sarebbe la stessa cosa se ne avessi anche solo l’idea? O solo una cifra? Allora, la sincronicità è forse un movimento di energia? Una porta o collegamento tra mondi?

  3. Avatar Paolo Quagliarella
    Paolo Quagliarella

    Torno all’articolo di Pierluca e al soggettivismo di Jung e Hillman. In filosofia alcuni autori del ‘900 hanno affrontato il problema fenomenologico.

    Edmund Husserl ha sviluppato la fenomenologia come metodo filosofico per studiare la coscienza. Secondo Husserl, l’esperienza è sempre soggettiva e non esiste una realtà oggettiva indipendente dalla percezione umana, che a questo punto io definisco in termini fisici: sistema di riferimento.
    Martin Heidegger ha criticato la filosofia tradizionale per aver trascurato il ruolo della soggettività nella conoscenza e nell’esperienza. Secondo Heidegger, la soggettività è fondamentale per comprendere l’essenza dell’essere umano e del mondo in cui viviamo. Per Heidegger c’è sempre l’Esser-ci, ovvero ma partecipazione dell’uomo nel mondo, quel “ci” indica proprio questo.
    Maurice Merleau-Ponty ha sviluppato la sua teoria della percezione come un modo per analizzare la soggettività dell’esperienza corporea. Secondo Merleau-Ponty, la percezione non è solo un processo cognitivo, ma coinvolge anche il corpo e le emozioni dell’individuo. Qui parliamo di corpo e emozioni.
    Jean-Paul Sartre ha sviluppato una forma di esistenzialismo che si basa sulla soggettività dell’esperienza umana. Secondo Sartre, l’individuo è libero di scegliere il proprio destino e la propria identità, ma questa libertà porta anche a una responsabilità personale per le proprie scelte. Posizione molto vicina, secondo me, alla visione hillmaniana.
    Ma la stessa soggettività è un modo di affrontare la realtà, di leggerla, come l’oggettività. A mio avviso è quella che permette con più facilità di avvicinarsi all’anima, in forma asintotica, senza toccarla mai nel reale, ma solo all’infinito. Noi siamo l’asintoto, l’anima è la parabola, restando nel campo del pensiero matematico-cartesiano.
    L’empiria di cui è stato portavoce Jung con il suo modo di fare psicologia analitica ha permesso d’immaginare un modo per collegare empiria e anima, soggettivismo e oggettivismo. La funzione trascendente stessa è uno “strumento” del processo d’individuazione. Hillman, a mio avviso, ha stravolto il concetto di sincronicità, da un certo punto di vista, arricchendolo, facendo notare come i fenomeni sincronistici possano essere co-creati, detto diversamente visti e notati dal soggetto, allontanandosi dallo junghismo puro in cui i fenomeni di sincronicità, appaiono, ma non possono essere “creati” dall’uomo. All’interno della rito religioso, per esempio, in una seduta di Yoga, di psicoterapia, di astrologia, all’interno di un setting in cui ci senti partecipi in anima, corpo e percezione, per dirla alla Merleau-Ponty, è facile toccare con mano, co-creare e vivere gli eventi sincronistici, se “s’impara”, brutto verbo ma non me ne vengono altri, a farlo. Siamo co-creatori della realtà, in questo senso, il fare anima è la base naturale del nostro esistere nel mondo.

    1. Avatar Stefano Cobianchi

      L’esistenza degli archetipi, e quindi di una oggettività psichica, presuppone che ogni agire umano, come partecipazione a questa oggettività, sia il prodotto di fantasie archetipiche che conducono il nostro agire e le nostre scelte, che poi l’io presuppone essere invece sue e come prodotto del suo libero arbitrio. In questo senso, da Jung in poi soggettività e oggettività non possono essere scissi, perché sono lo stesso fenomeno visto da due diversi punti di vista: l’attività archetipica della psiche attraverso le sue fantasie. Dentro le fantasie archetipiche che ci agiscono sì, siamo co-creatori della realtà, e in questo senso siamo effettuatori piu o meno consapevoli del “volere degli dèi”. Resta tuttavia da stabilire quanto l’uomo attribuisca a se stesso, nella sua hybris, il “potere divino” della creazione, e quanto invece esso riesca poi a rendersi conto che non è le lui a creare, né il suo libero arbitrio, ma le fantasie archetipiche che appunto lo agiscono e da cui egli è inconsciamente agito.

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