Si fa un gran parlare, oggi, di “narcisismo”. Ogni atteggiamento rivolto alla cura e all’importanza di se stessi e della propria immagine viene spesso comunemente riferito ad esso in senso erroneamente patologico, senza perciò capirne la fondamentale importanza per lo sviluppo della personalità sana di un individuo. Iniziamo anzitutto a chiarire una volta per tutte che c’è un Narciso dentro ognuno di noi, e questo archetipo è di fondamentale importanza. Un sano narcisismo è quello che ogni giorno ci salva la vita nell’incontrare la nostra immagine rispetto quella degli altri, ovvero quella funzione adattiva che ci permette di differenziarci dagli altri e riconoscere le nostre qualità e i nostri limiti.
È grazie al nostro Narciso interiore che noi siamo in grado di regolare la nostra autostima, e di mantenere un senso di continuità con il nostro Sé attraverso i successi e le sconfitte della vita, senza restarne distrutti. Un sano narcisismo si ritrova nelle persone integrate nella società, che sono dotate di uno stabile sistema di valori, e che sono capaci di instaurare relazioni significative e gratificanti. Il Narciso che la nostra psiche ci offre, è quello in grado di essere competitivo con gli altri, che ci fa credere in noi stessi e nelle nostre capacità; quello che ci fa accettare i complimenti con gratitudine e autocontrollo; quello che ci fa mettere in buona luce noi stessi e ciò che facciamo; quello che ci protegge dal baratro dell’incomprensione dei propri pensieri, delle proprie emozioni e di quelle degli altri. La personalità sana di un individuo ha bisogno di un Narciso che lo porti a credere di poter fare meglio degli altri in ciò che gli compete, e a non scoraggiarsi e mettersi da parte quando non ne ha bisogno. L’individuo sanamente narcisistico si sente emotivamente vulnerabile come tutti quanti dovrebbero, ma è in grado allo stesso tempo di non lasciarsi travolgere dai sentimenti negativi, ma sa come riflettere per utilizzarli, ad esempio, per valutare le conseguenze delle proprie azioni e gestire le critiche rivolte ad esse. Un individuo del genere, è ad esempio quello che prima di arrivare a una nuova situazione dove può trovarsi impreparato, non si blocca e nemmeno entra in crisi, ma ha l’aspettativa che sarà accolto bene dagli altri, e che gli altri saranno contenti di conoscere le sue capacità, le sue idee e la sua iniziativa. Sul lavoro, ad esempio, è una persona precisa, colui che non ha problemi e perlopiù tende a essere un leader.
Un sano narcisismo si sviluppa, quindi, nell’età evolutiva attraverso caregivers empatici, che ad esempio mi applaudivano quando riuscivo a fare qualcosa di nuovo ed esaltavano il mio valore, la mia bellezza e l’importanza della mia esistenza, facendomi sentire sanamente importante come d’altronde lo è ogni manifestazione stessa di vita. Chiaramente, nello sviluppo infantile mi sono accorto dei miei limiti, ma ho saputo rimetterli al valore e all’entità delle mie azioni e dei miei atteggiamenti, restando in me quindi un senso di valore che mi sosterrà per tutta la vita nelle future delusioni. Al contrario, se il nostro narcisismo è stato ripetutamente ferito quando eravamo piccoli, vengono descritti due esiti diversi del narcisismo: il cosiddetto “narcisismo covert“, caratterizzato da un senso di inferiorità e insicurezza, e il cosiddetto “narcisismo overt“, caratterizzato da un senso di grandiosità smisurato e onnipotenza. Quest’ ultima forma è quella che noi comunemente chiamiamo “narcisismo patologico”, tuttavia così trascurando gli aspetti e gli elementi archetipici delle altre forme.
Entrambe, infatti, sono accomunate da una grande ferita narcisistica, e quindi da una scarsissima autostima. Anche le persone con disturbo narcisistico di personalità hanno quindi, sotto sotto, delle ferite enormi che cercano di nascondere in tutti i modi. Possiamo allora re-immaginare il narcisismo lungo un continuum che dipende dall’uso che l’individuo impara a fare della propria ferita : se essa rimane aperta e viene continuamente stimolata dal proprio punto di vista, essa determinerà un narcisismo covert cioè un vissuto di permanente insicurezza, che verrà continuamente ricreato perché costantemente proiettato intorno a se stessi. Se la ferita invece è “guarita”, o se riaperta, essa viene costantemente “risanata” attraverso una sana riflessione volta a utilizzarla come fonte di ispirazione creativa, avremo quel sano narcisismo che ci permette di vivere in sicurezza ogni esperienza emotiva e affettiva. Se la ferita viene infine negata o rimossa, essa verrà coperta e nascosta da tutti quegli atteggiamenti di grandiosità e sovrastima di se stessi che sono tipici del narcisimo overt, almeno finché noi non saremo in grado di accettarla e di comprenderne il significato.
In ogni caso, il narcisismo patologico è un modello pervasivo di esperienza interna e comportamentale, che appare inflessibile e maladattivo, caratterizzato da una generale incapacità di instaurare relazioni significative e gratificanti. Ciò è determinato da una mancanza di empatia e da un forte egocentrismo, che nascondono una scarsissima autostima. Il Narciso che tutti riconoscono comunemente è quello inflazionato, ovvero l’individuo col tempo crede di essere superiore a tutti gli altri perché si abitua a credere nel proprio valore senza stimare allo stesso tempo i propri limiti, per non correre così il rischio di riattivare la propria ferita. Quante persone conosciamo che si sentono uniche e speciali, quante che credono di poter essere capite solo da persone “speciali” come loro? Attenzione, perché anche voi potreste crederlo “esageratamente”. Il (o la) narcisista patologico (o patologica, perché chiaramente è un fenomeno che coinvolge tutti, sia uomini che donne, anche se per convenzione parliamo al maschile perché Narciso era un uomo) passa molto tempo a fantasticare sul suo successo e sul suo fascino, ricercando costantemente ammirazione e consenso da parte degli altri, e ritenendo di meritare trattamenti di favore da essi. Basta aprire Facebook o Instagram per rendersi conto, guardando i vari selfies e i relativi commenti, di quanto la società moderna sia permeata di un narcisismo di questo tipo. Il narcisista patologico è infatti molto più vicino e simile a noi stessi di quanto noi stessi possiamo credere. È colui o colei che utilizza le persone come mezzi per raggiungere i propri scopi, che prova invidia verso gli altri e che crede a sua volta di essere molto invidiato; è colui o colei che non riesce a empatizzare con gli altri, che risulta spesso presuntuoso e arrogante, che viene lasciato sempre dai propri partner, o che a sua volta tende a scaricarli. Attenzione, perché queste caratteristiche si riscontrano sia nel narcisismo covert che in quello overt: un senso di grandiosità e arroganza, una tendenza all’auto-indulgenza e all’antagonismo, e il disinteresse per gli altri stabiliscono, in psichiatria, che voi siate dei narcisisti patologici. Sempre leggendo i social, sembrerebbe che ne soffrirebbe almeno due terzi della popolazione. Siete patologicamente dei Narcisi sia che vi dimostriate grandiosi e aggressivi, esibizionisti e onnipotenti, sia che vi sentiate invece suscettibili alle critiche ed ipersensibili, introversi e vendicativi, vergognosi e timidi. In entrambi i casi, ammettetelo, avete avuto dei genitori che vi hanno fatto sentire una nullità, o che raramente soddisfacevano i vostri bisogni affettivi e vi tormentavano con le loro critiche. Potevano essere addirittura sadici e ridere dei vostri insuccessi, o potevate vederli imporre la loro forza quando voi sbagliavate qualcosa e soffrivate per questo. Ammettetelo che avete ripetutamente sperimentato un senso di miserabilità, e che avete probabilmente vissuto pochissimi momenti di buona sintonizzazione con i vostri familiari e con gli amici. Ma allora chiedetevi: non sarà, forse, che un pò tutti sperimentano una ferita narcisistica, e che le vostre emozioni hanno mancato di essere accolte e comprese così come quelle di tutti nell’universo? Non sarà pure che avete sofferto moltissimo e che ancora oggi facciate finta di essere felici? È forse possibile che ognuno di noi, in una certa misura e in un certo periodo della propria vita, sia stato un narcisista patologico? È forse allora possibile che sia tutta la nostra società ad essere malata di narcisismo, e che senso ha per la psiche dell’individuo?
Questi sono i limiti della nosografia psichiatrica e della diagnosi clinica: leggete la descrizione diagnostica di una psicopatologia e vi ci ritroverete inevitabilmente rispecchiati, leggete i vostri sintomi in senso diagnostico e vi diagnosticherete sicuramente qualche malattia. La psicologia archetipica va oltre la standardizzazione degli elementi psichici, riconoscendone piuttosto il valore intrinseco aldilà di porvi un giudizio morale a priori, e per questo vede una funzione psichica attiva laddove gli altri vedono un male apparentemente incurabile. Parlando di archetipi, non abbiamo bisogno di circoscrivere come “anormale” o “diversa” quella che è invece una condizione archetipica, riconoscendone le componenti come parti attive della psiche con una loro funzione e uno scopo ben preciso. Gli archetipi sono infatti gli elementi costitutivi primari della psiche, ed è sempre riduttivo e poco utile costringerli a stare in un quadro clinico fisso. Una volta riconosciuti dai loro tratti tipici e simbolicamente evidenti, gli archetipi sono considerati nella loro manifestazione fenomenica, cioè nel percorso che ciascuno di essi compie dentro l’anima e la psiche. Se di guarigione si può parlare, essa arriva attraverso il riconoscimento di quegli archetipi che agiscono le persone nel mondo, perché se ne comprenderà lo scopo, e quindi se ne attueranno le misure adeguate al cambiamento che richiede la stessa psiche che li costella. La psicologia archetipica punta a guarire le idee e attraverso di esse il mondo, va ben aldilà della visione egocentrica ed ego-riferita, che centra tutto sull’uomo e sull’individuo. Per questo ci rivolgiamo al mito: perché in esso abbiamo una descrizione oggettiva della psiche, pluralista ed onnicomprensiva di ciò che anzitutto non viene riconosciuto come una anomalia del singolo, ma come l’inevitabile e significativo pathos della psiche all’interno di un kosmos di cui il singolo è espressione.
Esistono varie versioni del mito di Narciso. La versione ellenica appare come una sorta di racconto amoroso, nella quale il superbo e insensibile Narciso viene punito dagli dèi per aver respinto tutti i suoi pretendenti di sesso maschile e, in un certo senso, lo stesso Eros. Il racconto è quindi pensato come una storia d’amore omosessuale in cui Narciso è colui che rifiuta gli altri maschili come le altre versioni di sé stesso. Le conseguenze dell’amore sono sempre, infatti, che l’amore inevitabilmente ci porti verso l’altro, verso il diverso. Un’alterità che rispecchi parti di sé inespresse, le quali dapprima vengono proiettate sull’altro, ma allo scopo di essere col tempo accettate ed integrate in una personalità più differenziata e compiuta. Chi respinge l’amore e le relazioni con gli altri per restare fisso su se stesso, chiaramente resta sulle proprie abitudini e credenze. Ma ciò vale anche quando gli altri ci stimano e ci cercano solo per il nostro aspetto fisico? Narciso non veniva veramente amato, ma desiderato per la sua bellezza. Il mito narra che solo un giovane ragazzo, di nome Aminia, nella sua richiesta d’amore non si diede per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada affinché egli si uccidesse. Obbedendo al volere di Narciso, Aminia si trafisse l’addome davanti alla sua casa, avendo prima invocato gli dèi per ottenere una giusta vendetta. Questa si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la propria bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di essa. Sarebbe a dire che la giustizia della psiche simbolicamente arriva proprio attraverso il riconoscere la propria immagine riflessa. Qui Aminia è il simbolo della responsabilità che noi abbiamo su chi è agito da un desiderio indifferenziato come Aminia, quindi del potere della nostra bellezza. Completando la simmetria del racconto, preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise trafiggendosi il petto. Questo mito ci tramanda l’immagine di un Narciso non insensibile. né ucciso per vendetta, ma suicida per l’incapacità di usare il proprio dono e di trarne un reciproco profitto.
Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue, si dice che spuntò per la prima volta l’omonimo fiore, e quando un uomo o un dio veniva trasformato in fiore o pianta, sappiamo che così era per renderlo immortale. Il mito ci espone quindi al significato profondo del rifiuto degli altri: se non siamo pronti a capire e usare la nostra bellezza e il nostro reale valore, la conseguenza è una concentrazione sull’immagine esteriore di sé stessi. Quando questa attenzione all’apparenza di sé e alla “superficie” della propria immagine è eccessiva, lo scopo del dio Eros, o di Aminia e della sua vendetta, portano con sé il telos del rimanere comunque delusi e trafitti da quell’immagine stessa. Quella di Narciso è quindi la storia di un individuo che non riesce a vedere altre immagini e altre parti di sé che non quella che egli stesso sarà costretto a negarsi con la morte. Ciò lo porterà infatti a una delusione continua, che come significato porta la cessazione e il cambiamento del suo stesso punto di vista. Il narcisismo appare ora com’è in principio nella psiche, nel suo senso archetipico ed evolutivo: una condizione necessaria al riconoscimento dell’altro, e dell’amore per l’altro, oltre l’immagine che si ha di se stessi.
Il mito romano traspone quello greco in una versione eterosessuale, che piuttosto mette in luce il rapporto di Narciso con l’ambiguità dell’Anima stessa. Nel racconto di Ovidio fu infatti una ninfa dei monti, Eco, a innamorarsi di un bellissimo e vanitoso Narciso, che quando raggiunse il sedicesimo anno di età era di tale bellezza che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, s’innamorava di lui inevitabilmente. Già qui comprendiamo che la bellezza è l’essenza stessa di Narciso: nella sua costituzione e nel suo apparire agli altri, è Narciso stesso ad essere ninfico e cioè seducente. Spesso infatti scambiamo il narcisista per il vero Narciso, un uomo o una donna naturalmente attraente, e restiamo attratti dalla sua avvenenza senza nemmeno che egli o ella facciano alcunché per attirarci. Narciso perlopiù usava la sua bellezza con orgoglio. Essa era il simbolo del suo potere sugli altri, e la stessa natura aveva voluto che ciò accadesse. Cosa avrebbe dovuto fare Narciso, rinnegare se stesso e nascondere la sua bellezza?Ecco perché il narcisista ha ripetuti vissuti di svalutazione: egli rinnega se stesso, e quando sente gli altri fargli dei complimenti, può persino capitare che egli non gli creda. Invece che accoglierli, Narciso respingeva tutti e preferiva rimanere solo, perché era più facile che gestire una schiera di innamorati che lui non amava. Ovvero, non si lasciava accecare dal pericoloso effetto della sua stessa bellezza: accettare e sfruttare un amore basato sull’attrazione fisica. Forse Narciso aspettava proprio chi lo riconoscesse e lo amasse per qualcos’altro che non il suo bellissimo aspetto.
Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì Narciso tra i boschi, desiderosa di conoscerlo e di rivolgergli la parola. Ma era incapace di parlare per prima, perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto: così infatti Eco era stata punita da Giunone, la regina dell’Olimpo, per averla distratta dal controllare il marito Giove che la tradiva con altre ninfe. Per sé stessa, Eco rappresenta l’aspetto ninfico che “distrae” dalla morale e dal giudizio, e che per questo è costretto a “fare eco” della morale e del giudizio degli altri per potersi in qualche modo esprimere. Per Narciso, Eco invece rappresenta l’offerta d’amore e la relazione che è fine a sé stessa. Quando sentì dei passi, infatti, Narciso gridò: “Chi è là?”, ed Eco rispose: “Chi è là?”, cioè continuando a rispondere quello che lui le domandava. E continuò così, finché Eco, vinta dal desiderio, non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa, dicendole di lasciarlo solo. Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce, l’eco. Qui il mito ci insegna dove va a finire l’identificazione nell’immagine dell’altro: nella perdita dell’immagine stessa, nella sua morte e nel ripetere la voce dell’altro. Vi è mai capitato di trovarvi a dire qualcosa che diceva il vostro (o la vostra) ex? Lì voi eravate Eco con Narciso: la voce dell’altro, il suo punto di vista, viene integrato con il proprio. Nell’amore ninfico, quello condizionato dall’attrazione fisica e dal desiderio indifferenziato, noi abbiamo bisogno di integrare la diversità dell’altro per farla nostra, cioè per differenziarci ed individuarci.
Possiamo chiederci allora perché mai Narciso avrebbe dovuto cedere a una ninfa ambigua come Eco. Capiremo allora che il nostro stesso giudizio sul mito è viziato dalla nostra morale maschilista, la stessa delle donne che si sentono offese in primis da Narciso, ma che allo stesso tempo ne hanno subìto il fascino e l’influenza. Se Eco fosse stata un uomo, e Narciso una donna, addirittura forse arriveremmo a vedere Eco come uno stalker e Narciso come una povera disgraziata, umiliata e ferita. Qual è allora la verità su Narciso? È davvero un archetipo “cattivo”? Ê un mito che ammonisce il narcisista sulle conseguenze delle proprie azioni? Non è che, in verità, essendo Narciso appunto un archetipo, il suo senso sia da ritrovare nel telos stesso del mito attivo nella psiche, ovvero nella funzione e direzione che questa parte psichica, come energìa, assume nella psiche quando si attiva?
Uscendo dal moralismo e restando nel simbolismo dell’archetipo, il mito ci mostra che ad essere attratta da Narciso è la parte “ninfa-Eco”, che rappresenta la “donna anima” e l’Anima stessa. Si è sempre parlato di Eco come della donna che soffre di dipendenza affettiva, colei che non è in grado di differenziarsi di distinguere se stessa dall’altro, nonchè di scegliere per se stessa, e che rimane vittima del maschilismo e della presunta manipolazione di Narciso. Archetipicamente, piuttosto, dovremmo parlare di altro. Eco, come Aminia in versione maschile, non è altro che l’aspetto ninfico e melusinico della stessa psiche, quando si presenta in modo fusionale e impulsivo. L’abbraccio improvviso di Eco mira a creare una fusione con Narciso, e questi due archetipi sono in realtà i due aspetti della stessa parte psichica attiva, laddove la coscienza vede e vive il mondo (e gli altri) come in una partecipazione mistica, ovvero uguale a noi stessi e nella ricerca di quest’apparente uguaglianza o simpatia. Il termine participatiòn mystique fu per primo usato dall’antropologo francese Lucien Lévy-Brühl nel 1910 per distinguere la mentalità primitiva da quella moderna, e fu ripreso da Jung in “Tipi psicologici” per descrivere la vita simbolica che precede o accompagna ogni differenziazione mentale o intellettuale. La partecipazione mistica a cui la psiche ninfica ci richiama si riferisce al legame umano istintivo con l’emanazione psichica di fantasìe archetipiche, processo dinamico basilare della psiche attraverso il quale la psiche costruisce sé stessa nel mondo. Per Jung, essa denota un tipo peculiare di connessione psicologica con gli oggetti, e consiste nel fatto che il soggetto non può distinguersi nettamente dall’oggetto, ma è legato ad esso da un rapporto diretto che equivale a un’identità parziale e autonoma. Eco porta a Narciso il pattern archetipico degli “opposti identici”, che si uniscono per una legge d’attrazione basata su una pulsione libidica primordiale, che ha come direzione il mero soddisfacimento del desiderio e della pulsione stessa. Rispetto alla coppia archetipica di Pan e la Ninfa, in quella composta dalla ninfa Eco e da Narciso noi troviamo invece un sano senso di rifiuto per ciò che è superficiale e istintivo, e che non porta un significato profondo alla relazione affettiva. Intrapsichicamente, il bel Narciso è simbolo di un io già sano e compiuto, oggetto di attrazione per altre parti della psiche. L’io-Narciso è inizialmente forte, anzi invincibile, perché è in grado di non cedere alle lusinghe dell’Anima, come a quelle di una ninfa o una sirena.
Tuttavia, ciò porrebbe l’io-Narciso più in alto di un dio, cioè della psiche stessa e del suo fine. Il mito invece narra che Nemesi, la forza della “vendetta” della psiche e del suo giudizio ritorsivo, ascoltando i lamenti di Eco, decise di punire Narciso, ovvero sancendo così la fine del suo strapotere e del suo isolamento rispetto alle altre parti della psiche. Il ragazzo perfetto, mentre era nel bosco, s’imbatté in una pozza profonda (simbolo della possibilità di accesso alle profondità della psiche), e si accucciò su di essa per bere (cioè per trarne beneficio). Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, anche lui s’innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso. Solo dopo un po’ si accorse che l’immagine riflessa apparteneva a se stesso e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente, come prima aveva fatto Eco, ma affogando metaforicamente nel lago, entrando cioè dentro l’anima stessa. Si narra poi che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti per entrare nell’Ade, si affacciò sulle sue acque limacciose, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso e la sua bellezza. È ancora una volta alla morte del punto di vista soggettivo su se stesso, quello che Narciso in principio non conosce se stesso e, alla prima vista della propria immensa bellezza, non si ri-conosce in essa, che la psiche volge il telos del narcisismo. Perché, non dimentichiamolo, con la sua morte Narciso diviene un dio: fu reso immortale cioè trasformato in un fiore, il Narciso, la versione simbolica e indistruttibile di se stesso.
Narciso è quindi un aspetto, quello relazionale, del Puer Aeternus, l’archetipo che porta in seno il motore psichico dell’individuazione nel mondo. Ma come nella psiche infantile e primitiva, Narciso vive inizialmente in partecipazione mistica con la propria natura e non è ancora votato alla riflessione, cioè a riflettere sull’immagine di sé stesso, capacità che invece apprende proprio dall’incontro/scontro con l’aspetto ninfico dell’amore. Riflessa sulla superficie dell’acqua come sullo specchio della propria proiezione psichica, Narciso fa morire il suo punto di vista e si riappropria di quell’immagine profonda di sé stesso, nonché della realtà della propria anima aldilà della concezione materialista di se stesso. Compie simbolicamente quello che in psicologia dinamica viene chiamato un “ritiro delle proiezioni”. Sono le stesse forze archetipiche della psiche, quelle libidiche più ancestrali e indifferenziate del Puer e della Puella, che portano Narciso alla morte, cioè alla trasformazione simbolica di se stesso: Narciso così entra nella dimensione dello spirito e compie il suo processo di individuazione. Attraverso la riflessione sul proprio valore e sulla propria “vera” bellezza rispetto all’immagine esteriore e superficiale di sé stessi, l’archetipo di Narciso rappresenta infine quel processo che porta l’individuo a scendere nell’Ade per conoscere sé stessi, ovvero nella propria dimensione profonda, quella del significato e dell’essenza della propria vita. Obbligati dalla nostra stessa costituzione psichica a riflettere continuamente sulla propria immagine, sarà soltanto “attraversandola” per raggiungere la parte opposta della superficie, quella profondità dell’anima, il nuovo punto di vista che Narciso raggiungerà nell’ “altro mondo”, quella attraverso cui egli cambierà il suo modo di vedere.
Questo mito segna perciò il processo di individuazione della personalità dell’individuo da adolescente ad adulto attraverso l’archetipo della Persona, ovvero dell’immagine di sé nel mondo, e del ruolo e del valore che ad essa noi attribuiamo, e va quindi rivisto come una versione relazionale del mito più generale della trasformazione della personalità, ovvero dell’archetipo del Puer Aeternus nell’archetipo del Senex o del Padre, di cui scriverò in un prossimo articolo. Narciso compie questa trasformazione psichica attraverso la riflessione sulla sua immagine sull’acqua, sul suo femminile e sulla sua stessa Anima. Egli la scopre per la prima volta grazie proprio alle conseguenze del rifiuto di Eco o di Aminia, cioè di ciò che metaforicamente gli sembra uguale a sé stesso e indifferenziato. La conoscenza di sé stessi deve per forza passare attraverso l’orgoglio e l’onnipotenza dell’infante e del giovane, che rifiuta l’amore incondizionato dell’altro per poter giungere alla conoscenza e alla saggezza dell’adulto. La tappa necessaria e fondamentale per l’individuazione è la delusione dell’altro, la stessa ferita narcisistica. Da ciò ne deriverà poi il ritiro delle proprie proiezioni sugli altri, e la delusione di sé stessi, che rimetterà infine in equilibrio il rapporto tra io e anima. Narciso è l’archetipo che ci porta a scoprire la dimensione profonda di noi stessi e della vita, ovvero l’anima stessa e il valore che da sempre dentro di noi portiamo. Ciò appare fondamentale per realizzarsi nella vita: è necessaria proprio una considerazione di se stessi, della propria immagine e del proprio ruolo nel mondo, “dal punto di vista dell’anima”.
(Immagine: Roberto Ferri, Narcissus)
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