Il Potere sta nelle idee – ma dipende dall’idea del Potere.

Non lo stato di necessità, né la bramosia – ma l’amore della potenza è il demone degli uomini. Si dia loro tutto, salute, nutrimento, abitazione, svago – essi sono e resteranno infelici e balzani: poiché il demone attende e attende e vuol essere soddisfatto. Si prenda loro tutto e si soddisfi quest’ultimo: saranno quasi felici – tanto felici come proprio uomini e demoni possono essere.

Questo scriveva Friedrich Nietzsche in “Aurora”, e questi sono i versi da cui parte l’accurata re-visione in chiave archetipica della psicologia del business che fa James Hillman ne “Il Potere – Come usarlo con intelligenza”, edito da Rizzoli. Il business non riguarda infatti soltanto chi è impegnato negli affari, ma sotto sotto è “la ragione principale per cui tutti noi ci alziamo la mattina e il principio organizzatore di ogni nostra giornata”. Ci piacerebbe credere che a determinare il nostro destino sia l’amore per una o più persone, per il mondo in cui viviamo o per l’arte, ma a determinarlo nella vita concreta sono le idee che abbiamo sul successo nella vita, sui suoi valori e sulle nostre ambizioni, ciò che costituisce la base della nostra civiltà e dei riti del nostro comportamento. Il potere, tuttavia, non è soltanto una questione di ricchezza o forza fisica: è soprattutto il potere delle idee, la capacità di rifletterle e comunicarle, a dare vita alle lotte e alle sfide di ogni giorno, così come a determinare le nostre vittorie e sconfitte, fino a garantire la nostra posizione nel mondo. Attraverso le nostre idee noi cambiamo il mondo e diamo un nuovo significato alle cose, e questo è il potere più grande che maggiormente significa le nostre vite.

Il Potere deriva dall’essere capaci di imporre le proprie idee.

Jung parlò di un “complesso di potenza” in “Tipi psicologici” (1921), definendo la subordinazione come il fattore scatenante questo complesso, avente come scopo quello di invertire la polarità e subordinare le influenze subordinanti l’Io, portandolo a un livello superiore. Questa idea di potenza o di potere fu però figlia di un’epoca fortemente influenzata dalla visione freudiana e positivista egocentrica, e altrove Jung sentì la necessità di andare oltre l’Io definendo una innata “volontà di potenza” o “istinto di potenza” accoppiato a quello sessuale, qualcosa che avevano fatto anche altri come Alfred Adler o Friedrich Nietzsche. Dal canto suo, Hillman ne “Il Potere” conferma l’ipotesi di una funzione innata e archetipica, ritrovandola nell’antico binomio Ares/Marte e Afrodite/Venere, ira e cupiditas per la Chiesa del Medioevo:

L’approccio archetipico al potere e al sesso ci dice che un essere umano non può mai controllare del tutto l’ira e la cupiditas, perché è in queste esplosive pulsioni che dimorano gli Dèi.

La parola “potere” o “potenza” già da sola esprime l’idea psicologica di “essere capace”, “capacità” (posse, potis esse), per cui richiama automaticamente al subordinamento: da essa derivano le idee e immagini di poti, “marito”, “signore”, “padrone”, che in greco posis fa derivare des-potes, “signore della casa”, da “domo” e “posis“, “padrone”. Gli schiavi romani chiamavano “dominus” il proprio padrone, mentre quelli greci lo chiamavano “despotes”, da cui il nostro “despota”. L’idea di potere porta in sé dunque un’energia archetipica di gerarchia e subordinazione, e perfino dispotismo. Ma nella nostra era, dove l’uso della forza è stato bandito ai più e consentito solamente nelle manifestazioni sportive o nei conflitti bellici o polizieschi, l’idea di potere assume connotazioni invisibili, diremmo più mentali e spirituali, di queste energie, da cui ad esempio la forza delle idee e il loro dispotismo.

La psicologia del Potere è oggi la psicologia del business.

Posto l’accento sul Potere come capacità di avere le proprie idee realizzate, diventa più chiaro il motivo per cui, ancor più oggi che in ogni altra epoca della storia, il nostro credo e la nostra quotidiana teologia sia diventata l’Economia, per Hillman “l’unico effettivo culto sincretistico superstite, la nostra unica fede ecumenica”. Se gli affari e i matrimoni di convenienza sono sempre esistiti, mai come oggi per diventare potenti non possiamo più contare su delle idee prestabilite o condivise, come quelle politiche o religiose, perché viviamo in un periodo storico-culturale in cui sono venute meno proprio quelle idee legate all’affermazione di sé stessi che hanno da sempre dominato la significazione del valore umano e della stessa vita ponendola al di fuori delle nostre facoltà razionali, ovvero nel mondo del divino e dell’immaginazione. Già ne “Il Codice dell’Anima” Hillman denunciava il fatto che “il progressivo venir meno del nostro interesse verso le cose che la coscienza razionale chiama magiche, mistiche e mitiche ha fatto sì che tutti i corpi immaginali finissero per fondersi in modo indiscriminato nel mostruoso. Risultato: l’invisibile diventa l'”alieno”. La propria capacità immaginativa, negli aspetti più legati alla sfera del sacro, del divino e dello spirito, è stata proprio bandita come idea di potenza e affermazione dal positivismo e dal post-illuminismo, e oggi ricade su di noi come paura della propria creatività, della propria sensibilità e diversità, paura dei propri istinti e della propria impulsività, derivati dalla rimozione dei propri Dèi interiori, coloro a detenere il vero Potere. La paura delle nostre energie più oscure e del nostro lato “alieno” si proietta nella costante minaccia di una crisi energetica intercontinentale, persino interstellare, che manda la nostra economia psichica al pari passo di quella dei mercati azionari. Nella nostra vita quotidiana, ciò si riflette fino al punto che non siamo più in grado di considerare un amore e il suo pasto frugale, o un’amicizia e la serata al pub o un’uscita pomeridiana, fino alla scelta della propria carriera e le aspirazioni di una vita familiare e sociale, senza considerare l’ammontare nel portafogli e il plafond della banca.

Dobbiamo fare i conti col fatto che tutto il nostro tempo di vita è davvero diventato una questione di denaro, e nessuno riesce più a vivere senza pensare continuamente al Potere nei termini della ricchezza economica. Le persone boicottano le storie serie per non impegnarsi in amore economicamente, ciò nascondendo il fatto di aver perso il Potere della scelta e della decisione con le rispettive responsabilità. Le relazioni mordi-e-fuggi o quelle eternamente sospese contano di un esercito di indecisi. Allo stesso modo sono sempre di più le persone frenate o bloccate che non si sentono in grado di fare più quei passi da sempre necessari per mettere alla prova le proprie idee nel mondo, né individualmente né tantomeno in coppia, affondando nel proprio divano Ikea o nei panini dei fast food la tenacia e il mordente delle proprie intuizioni creative. Coppie e matrimoni sono diventati un lusso estremo per chi già è troppo impegnato nel lavoro e non ha più tempo nemmeno per pensare alle proprie idee – perché il primo grande effetto derivato dal potere delle idee è proprio quello di farci guadagnare tempo e denaro senza rimanere per forza subordinati -invece di perdere tempo inseguendo invano le idee di potenza più alla moda come unica forma di affermazione al mondo. Per chi si sente in qualche modo diverso o facente parte di una qualche minoranza, l’affermazione delle proprie idee e del proprio modo di essere nel mondo è sempre meno motivo di rivoluzione e manifestazione creativa di idee originali e nuovi paradigmi, e sempre più uno sterile reiterare delle mode e degli stili precedenti affiancato da un altrettanto sterile lamentarsi quotidiano, più vicino ai leoni da tastiera e ai bulli e coatti della giungla urbana che all’eros e all’ardore spirituale per un’idea o un’ideologia. È sempre più difficile vedere persone che impugnino il Potere delle proprie idee nei giusti modi costruttivi e nei contesti lavorativi e creativi, ardendo della passione e del coinvolgimento emotivo dato dal possedere una o più idee da condividere con il mondo e di cui si percepisce l’importanza e una sostanziale mancanza in esso.

Questo perché, non considerando più al principio della generazione del nostro carattere l’Anima e le sue forme e forze, e come motore precipuo delle nostre vicende la ricerca di Bellezza (Eros-Afrodite/Venere) non come canone estetico o come sterile sesso, ma come fattore spirituale trascendentale, ogni fenomeno o relazione tende a rimanere perlopiù una questione di una momentanea soddisfazione personale e quindi data da un potere materiale, e il denaro la misura del suo valore. Sono d’accordo con Hillman sul fatto che anche per gli psicologi e gli operatori della sanità in generale “l’avere potere è diventato il principale slogan da strombazzare alla gente per attirarla verso i baracconi del fai-da-te e del recupero, del luna park terapeutico”, perché “è tanta la gente che oggi si sente priva di potere. Ma cos’è che loro, e noi, chiediamo? Dove e perché se n’è andato quel potere che un tempo animava il sogno di tempi migliori in un paese migliore? La psicologia può aiutarci a riacquistare potere?”.

Le idee di Potere che possediamo non sono nostre.

In realtà, il problema sta nella stessa “idea di potere” che abbiamo. “Le idee che possediamo senza sapere di averle, ci possiedono”. L’anima, nella nostra psiche, è alla disperata ricerca del potere della mente e delle nostre idee, che la rendono in grado di affrontare l’impotenza che sperimenta nel mondo di fronte ai nostri blocchi, alla fissità delle nostre credenze e alle inflazioni del nostro pensiero. Anche se vogliamo e abbiamo le idee, non abbiamo ancora imparato ad adoperarle bene, e le bruciamo troppo in fretta. Nell’era dell’infodemia, della comunicazione di massa e delle infinite possibilità di scelta, l’ideazione stessa è una funzione psichica sotto costante rischio di inflazione o deflazione. Nel business, come nel mondo dell’industria, della musica o dell’agricoltura, tutto dipende da fattori sempre più complessi e imprevedibili, che sono le idee di potere di singoli individui e la loro forza. Nel nostro piccolo, vediamo ogni giorno quanto sia sempre più difficile il riuscire a smettere di pensare e di avere idee, da una parte, e il riuscire a fissarle nel mondo o a cambiarle, dall’altra. Da una parte ci liberiamo delle idee mettendole immediatamente in pratica, iniziando mille attività nella nostra incontinenza creativa, puntando tutto su una notte o sull’ultimo pezzo; dall’altra parte, crediamo che ogni nostra idea sia una “buona idea”, e fatichiamo fino a spezzarci la schiena e a condizionare tutto quanto per cercare di convertirla in qualcosa di reale, vendendo l’anima al demone del Direttore e al suo potere d’impresa, e dimenticando il nostro. Ci ritiriamo dal portare avanti la nostra idea e la nostra visione perché assimiliamo il potere di quella dell’altro, e in questo modo ci sentiamo al sicuro, invece di mettere in moto i cambiamenti necessari al perseguire le proprie idee nella vita di ogni giorno. Finché poi un giorno ci troviamo a lamentarci del capo, o in conflitto con questo. È il primo sintomo della presenza del nostro daimon, il demone che ci ricorda chi siamo e chi non siamo, e che anche noi abbiamo un potere da esercitare nel mondo.

Come spiega il significato stesso della parola “idea” (eidos, da idein, che significa sia vedere una cosa nella forma, sia un modo di vedere quella cosa, una prospettiva) noi confondiamo il “cosa” vediamo con il “come” noi vediamo quella cosa soggettivamente, quindi crediamo che il nostro modo di vedere, la nostra idea, sia oggettivamente la cosa stessa. In questo senso le idee ci posseggono, e se crediamo fermamente in esse possono portarci fino alla distruzione, mentre invece dovremmo sempre trattarle come modi di vedere assieme ad altri. Allora, ciò che è determinante è avere un’idea di potere che sia la propria, ovvero quella che risiede nel proprio carattere e nella vocazione personale, saper prendere le decisioni necessarie nei tempi giusti per conseguire questo potere. Ma se le idee hanno il potere di possederci fino a distruggerci, come fare per ottenere il loro potere in modo obiettivo? Anzitutto, dice Hillman, non bisogna agire subito le idee, perché le idee vanno covate, affinché da esse ne fioriscano delle altre migliori e sempre più adatte alla situazione del momento. Bisogna ri-apprendere il valore dell’attesa, della lentezza e dello stare con le proprie idee e la propria immaginazione. Non dobbiamo mai dare un’idea per scontata: il fatto che un’idea riesca a persuaderci, persino a convertirci, le dà un potere immenso, simile a quello di una visione rivelatrice. Le idee sono degli Dèi, e il potere viene da essi: a volte possiamo persino percepirli nelle nostre visioni come nei nostri sogni, laddove eidos è un qualcosa di visibile e tangibile come un corpo o un oggetto fantastico, o di udibile come la voce di uno spirito. Quel “venire dentro” di un’idea è ciò che porta a ogni scoperta, per cui dal latino invenire da cui deriva “invenzione”. “Tutte le nostre invenzioni cominciano come idee; tutto il nostro potere materiale deriva dal potere ideativo”. Dobbiamo quindi ricordarci che le idee non sono “nostre”, ma dell’anima. Non sono vere idee – e dobbiamo dissuaderci dal crederle tali – le scontatezze logiche delle nostre deduzioni e dei nostri ragionamenti coscienti, ma le intuizioni e le inferenze più originali e rivoluzionarie, persino folli e sconvolgenti. La nostra vitalità psicofisica, come la vitalità di una cultura, dipende dalla nostra capacità di covare le forze divine e demoniache delle idee per costituire e mantenere il potere di scrivere la nostra storia nel mondo, che è la storia dell’anima. Tuttavia, come scrive Hillman ne “Il Potere”:

“Per restare sempre più obiettivi dobbiamo essere sempre più soggettivamente vigili nei confronti degli archetipi ovvero delle dominanti dell’immaginazione, che ci consentono di vedere, o ci fanno vedere, le cose in determinati modi ben definiti. Se non sappiamo chi è in azione in una certa idea, veniamo catturati dal suo potere con maggiore facilità. Finiamo per identificarci con quell’idea, la difendiamo, lottiamo per essa, e ben presto finiamo per diventare dei fondamentalisti delle idee, che credono fermamente in un’idea perché “è veramente giusta”. I conflitti tra le persone sono guerre tra gli Dèi il cui smisurato potere olimpico conferisce alle idee una tale convinzione. Il sentimento della certezza deve venire da qualche parte che è al di sotto o al di là del consueto io, ed è quindi l’identificazione con il potere interno a un’idea, a dare a colui che la esprime il sentimento della certezza”.

Il Potere dei nostri sogni va contro il retaggio culturale imposto.

Come ha saputo rappresentare il genio Christopher Nolan nel film “Inception”, di idee sono forieri i nostri sogni notturni, e chi ha potere sui sogni della gente ha potere sul mondo intero. Proprio perché “un’idea è come un virus: una volta che si impianta nella mente continua a crescere”, fino a distruggere se necessario l’individuo ospitante e chi gli sta intorno. “Una singola idea della mente umana può costruire città! Un’idea può trasformare il mondo e riscrivere tutte le idee! Ed è per questo che devo rubarla!”, dice Dom Cobb alias Leonardo Di Caprio, ossessionato dall’idea di poter rivedere nei sogni la compagna suicida per colpa della propria idea sulla realtà del sogno, e di poter restare con lei nella loro dimensione onirica. Nell’antichità, gli Dèi più potenti erano quelli in grado di far venire i sogni, e l’interpretazione del sogno era materia di sacerdoti esperti in grado di leggere il linguaggio dell’anima o della divinità. Nel film, il potere esercitato da Cobb è strabiliante fintanto che non rimane egli stesso soggetto dalla sua stessa idea di potere: egli possiede il potere di inserirsi nei sogni propri e altrui per prelevare le idee e i segreti nascosti nel più profondo del subconscio. Possiamo immaginare proprio questo come il potere assoluto: quello di frugare nella memoria e nella psiche della gente, ed è per questo che la psicanalisi è stata anzitutto una questione di chi aveva il potere di farlo sugli altri. Sappiamo infatti che Freud non ammetteva affatto che venissero analizzati i suoi sogni, ed era ossessionato dal potere del proprio metodo, fondato sulla parola: aveva capito che le parole sono, come le immagini, il tramite delle idee, e quindi degli Dèi e della loro cura. Jung, e poi dopo Hillman, dal canto loro hanno saputo superare l’idea di Freud del sogno come soddisfazione di un desiderio cosciente rimosso, riconoscendo invece in essi le stesse immagini e idee della psiche. Il potere ideativo e creativo proveniente dai sogni è a tutt’oggi perlopiù inesplorato. Soltanto noi analisti, che ne vediamo e analizziamo tanti di tanti pazienti differenti, e i pazienti che fanno una analisi del profondo, possiamo avere la certezza di quanto in realtà tutte le idee più importanti e potenti della nostra vita vengano dai sogni, che sono la psiche stessa.

Una volta che abbiamo imparato a non farci trascinare da un’idea, per poter comprendere quale sia la nostra idea di potere più efficace perché vera, dobbiamo sbarazzarci di tutte le idee e definizioni di potere ereditate dal patrimonio storico-culturale che ci è stato tramandato. A comporlo maggiormente sono i residui del “darwinismo sociale”, la base filosofica dell’era moderna, ovvero quell’idea di Progresso come naturale e dato da Dio, che avanza secondo la selezione naturale e in base alla concezione di potere come “crescita”. Il messaggio eroico di progresso attraverso miglioramento, sviluppo, superiorità e competizione ha portato a visioni progressiste inflazionate e distruttive come quelle del nazismo e del fascismo, dello sfruttamento della natura e della sostituzione tecnologica; e si è ben accompagnata a un’altra idea distorta di potere, quella di Efficienza. Elevando l’efficienza a principio indipendente del potere, dal canto suo, si arriva a conseguenze terribilmente pericolose, come quelle raggiunte nei campi di concentramento come Treblinka, negli allevamenti intensivi e nei centri di ricerca dove si pratica la vivisezione, dove la disumanizzazione e l’insensibilità del sentire – non si guarda ai valori della vita se dev’essere vissuta in modo efficiente – hanno portato a quel “fallo e basta!” “non farti troppe domande” “tanto se non lo fai tu lo farà un altro” a cui porta l’idea di Progresso quando pensa a breve scadenza e si stacca dalle sue coorti per andarsene per conto proprio. L’idea eroica di crescita – che mitologicamente si ritrova negli Eroi come Mosé, Gesù, Ercole, Perseo, David, Edipo – è l’idea archetipica del Bambino in evoluzione, inizialmente in pericolo o vulnerabile o abbandonato, laddove l’equazione “più grande = migliore”, secondo Hillman, “costituisce una grandiosa difesa finalizzata a proteggere dell’intrinseca insicurezza che sta al cuore della forza eroica, e addirittura a sconfiggerla”.

L’idea di potere che abbiamo ereditato è infatti quella dell’Eroe che per diventare potente deve sconfiggere la propria insicurezza, e non per caso l’idea di insicurezza è il principale immaginario che i pazienti portano nelle sedute. “Sono una persona insicura”, “i miei genitori mi ricordano sempre che io sono una persona distratta”, “non merito l’amore di Dio per come sono”: sono solo alcune delle affermazioni che solitamente spendiamo nelle prime sedute facendo il nostro mea culpa con il terapeuta una volta affrontato il ritiro delle nostre proiezioni. Dentro di noi è ormai talmente radicata l’idea che “io non valgo niente’ che una qualche costruzione difensiva narcisistica sembra ormai essere necessaria anche nei più adulti e affermati uomini e donne di potere. Tutto questo perché abbiamo perso l’idea di potere derivata dall’anima, quella che ci dice che il nostro potere sta proprio nell’anima, che è il nostro carattere, ed è un potere innato e precostituito. Hillman ci tiene a sottolineare il fatto che le principali caratteristiche su cui si basa il potere e la capacità di esercitarlo e mantenerlo – come la leadership, il controllo, l’ascendente, l’autorità, il carisma, la persuasione, la tirannia, la decisione o l’indecisione – nascono da scaturigini spirituali profonde. Per renderci conto di quanto sia distorta, alienante e arrogante l’idea corrente di potere, basta che diamo una rapida occhiata a chi oggi acquisisce più facilmente potere e consenso dalla gente – cantanti che lanciano sguardi e parole come slogan e tanto facilmente arrivano con essi al successo quanto velocemente scompaiono o si disperdono come meteore, palloni gonfiati della politica o tecnici del governo che impugnano idee popolari e spiritualmente utili nel loro effetto placebo sui reali problemi e sofferenze della gente con lo scopo principale quello di salire le scale dell’ascensore sociale, influencers e personaggi che rivendicano anzitempo ruoli attoriali e sociali prendendoseli con l’arroganza e la pretenziosità tipici del Puer per poi altrettanto rapidamente pentirsene e abbandonare quei ruoli per ritrovare sé stessi in qualche rehab, beauty farm o isola caraibica. In questo mondo ornai caotico dominato dagli eroi e dal Puer, siamo sempre più condannati a portare avanti quest’idea di potere post-cattolica ed eroica che riscatta un tempo ormai passato in cui il Potere era gestito da altri e in un modo ben diverso. Ma la nostra anima non nasce per seguire l’idea di Potere di qualcun altro, e ben presto nella vita arriva il momento in cui ce ne dobbiamo rendere conto.

Il potere del leader occulto.

Quel grande analista del potere che fu Machiavelli ne “Il Principe” concepiva il potere esattamente nei termini di controllo della Fortuna, la capricciosa Dea del destino e della sorte, laddove il potere diventa la capacità di prevedere gli imprevedibili interventi della Fortuna o del caso, come gli errori, le incompetenze, i vizi che attaccano ogni impresa. D’altra parte, dall’etologia e dall’antropologia impariamo che la leadership di un individuo viene intuitivamente riconosciuta dagli altri come un insieme di facoltà innate che automaticamente dispongono i sottomessi alla leadership e decidono la struttura gerarchica dell’organizzazione sociale in corso.

“Il senso animale che il leader possiede legge la situazione con l’attenzione intensa e concentrata del gatto e del falco. La leadership, dunque, richiede probabilmente qualcosa di più delle consuete qualità della determinazione, della capacità di ascoltare tutte le parti e coordinarle fra loro, del coraggio di un comportamento capace di rischiare, così come delle virtù morali che si possono apprendere nel manuale dei boy-scout o in un testo di management. Queste qualità vanno tutte benissimo, ma probabilmente l’essenza della leadership risiede piuttosto (…) in un’intelligenza agita, definita come un’attenzione eccezionalmente ben sintonizzata, immediatamente collegata a una risposta riflessa. Chiunque aspiri alla leadership potrà imparare di più in un campo di pallacanestro o mentre pesca con la lenza che in una scuola per dirigenti di azienda, perché il grosso compito è quello di avvicinare sempre di più i due poteri che la nostra cultura amletica (…) continua a separare: il pensiero e l’azione.

L’unica qualità estremamente preziosa del leader è quindi un tratto istintivo e animale: il saper aspettare e cogliere il kairos, il momento giusto od opportuno. Secondo Machiavelli esiste un solo momento propizio, che è proprio Kairos, l’occasione, in cui il leader può manovrare le complesse cause del Fato e della Fortuna. Per Hillman, si può essere un leader “occultamente” ovvero avere autorità e mantenerla senza comandare, ma esercitando la propria presenza e influenza in modo nascosto. Ciò è possibile in quanto il potere si esprime in modo istintivo nel momento in cui si sa agire, non in cui si ragiona o si premedita l’azione. Egli scrive:

“Questa capacità di saper riconoscere l’occasione è cruciale per l’esercizio della leadership e gli conferisce potere sulle circostanze. In un incontro, è proprio la scelta del momento in cui intervenire a capovolgere le sorti. Il leader occulto non solo nasconde la mano, ma anticipa anche quello che è nell’aria, ha un fiuto speciale per ciò che non si vede, che è nascosto, che il presidente e i membri del comitato di presidenza, presi dai loro ordini del giorno e dai loro incarichi, non possono percepire. (…) Dal momento che, come stiamo sostenendo, leader si nasce e non si diventa, è possibile che il leader giunga in primo piano senza essere passato attraverso alcun test”.

Per Hillman, i leader sono a contatto con gli Dèi, “sono l’incarnazione di idee”. Quello che in definitiva conferisce il potere della leadership è la capacità di incarnare idee visionarie e di non aver paura degli ideali.

“Molti posseggono i tratti di una personalità forte, ma a pochi è dato di rappresentare ed esprimere degli ideali. È proprio qui che l’idea di leadership trascende il suo fondamento animale nell’azione riflessa, e afferma un secondo fondamento spirituale nel bisogno che ha la psiche di idealizzare, di immaginare il lontano e il meraviglioso, di lasciarsi catturare dalla visione. L’idealismo è un potere immenso, capace di mobilitare interi popoli, interi continenti, e quando è presente in una figura umana vivente, come in Simón Bolivar o Lenin, la leadership diventa strumento della storia”.

Decidere ed essere Indecisi.

Torniamo quindi all’idea che abbiamo ereditato del potere, da essa vincolato alla prospettiva archetipica del Bambino o del Puer Aeternus, ormai cieco nei confronti di generi di crescita più complessi e sofisticati come quelli del mondo post-moderno, post-cristiano e post-moralista. Il Puer è reiterante nei suoi giri narcisistici e uroborici su sé stesso, incapace di differenziarsi nel mondo se non nel sentirsi libero dall’idea di potere come liberazione dalla propria condizione di impotenza e insicurezza, e quindi mantenendosi sempre indeciso e disimpegnato. Il Puer esercita il proprio potere non decidendo, ed è l’eterno indeciso. La decisione libera potere; in quanto essenza stessa dell’agire, la decisione è potere. Chi non decide perché non sa decidere o ha paura di farlo, oggi non ha alcun potere. Ci piace credere che le decisioni siano il risultato di esaurienti riflessioni. Come dice Hillman, le decisioni provengono dalla pancia, da un qualche dato casuale o da una chiacchiera, da un sogno o da un’impressione intuitiva, dalla voce appena percepibile di quello che lui altrove ha chiamato “angelo” o daimon, non meno che da una lunga riflessione su un compendio di fatti ben scritto. Ecco invece profilarsi tutta una schiera di indecisi cronici, coloro che espletano la loro tattica Puer apparentemente indecisa di orientare le vele secondo il vento, che deriva dalla decisione di non decidere affatto per così evitare le responsabilità che derivano dall’esercizio del potere della decisione e rimanere liberi e apparentemente forti del proprio uroborico possibilismo. Chi ha come interesse primario il far scegliere agli altri dev’essere tuttavia distinto da chi dimostra invece quella che Hillman chiama un’ indecisione nevrotica, “con la quale intendo quel tenere sé stessi e gli altri in sospeso al fine di mantenersi al potere. Posso mantenere il controllo con l’indecisione altrettanto abilmente che correndo il rischio di una decisione. C’è un uso narcisistico dell’indecisione che fa di noi il centro dell’attenzione, come alla corte di un re dove tutti stanno in attesa domandandosi cosa verrà deciso”.

Cerchiamo allora di acquisire una nuova idea di potere che vada oltre quella del “bambino interiore” e sulle sofferenze dell’infanzia personale, un’idea sulla quale la stessa industria della psicologia si è conformata nell’ultimo secolo. Non privo d’un certo sarcasmo, Hillman afferma che per mantenere l’economia in crescita

è necessario un atteggiamento di accoglienza nei confronti di ciò che finisce. Vorrei ricordare Ulisse, che cerca unicamente di mettere fine alla sua ventennale carriera di girovago tornando finalmente a casa. Tutta l’epica omerica è dedicata alla fine. (…) La fine non è contemplata dalla coscienza del fanciullo: il fanciullo guarda in avanti. La prima di queste fini tuttavia, dovrebbe proprio coincidere con il termine della nostra fanciullaggine (il che, però, non vuol dire “realismo” pratico, insensibile, privo di fantasia).”

Oltre il potere del Padre e della Madre.

In terapia, significa molto spesso lavorare per deflazionare le parti Eroiche e rivalutare le polarità Senex opposte all’indeterminazione e indifferenziazione dell’energia Puer/Puella, nonché sugli archetipi di chi esercita il potere su di essi, come quelli del Padre e della Madre. Quelli transpersonali o archetipici, non quelli personali, come ci ha insegnato Jung. L’archetipo del Padre è il principio ordinatore della psiche, quella forza di ordine, giudizio, razionalità e responsabilità delle proprie scelte e azioni, e in questo modo è una forza fecondativa e creativa che inizia, decide e agisce. L’archetipo della Madre è invece il principio di accoglienza e contenimento, quella capacità di “stare” con le cose che abbiamo e accettarle, contenerle nel senso di covarle e nutrirle per dar origine al nuovo, e in questo senso è un principio creativo irrazionale legato al sentire le cose più che al pensarle logicamente. I genitori che ci hanno fatto nascere fisicamente non sono quelli che ci guideranno psicologicamente e spiritualmente nella vita, ragion per cui il potere di un individuo inizia a poter essere esercitato quando si attivano questi archetipi della psiche, ad esempio nel momento in cui varchiamo la soglia della casa di origine per andare nel mondo. Attraverso la metafora del mito, in terapia significa confrontarsi tra diversi stili di decisione e di azione che sono presenti e che riconosciamo nella nostra psiche, sulle rispettive idee di potere e sul loro esercizio. Significa analizzare il conflitto intrapsichico tra i Padri archetipici coi rispettivi Figli, soprattutto Cronos/Saturno col figlio Zeus, oppure Hermes con Pan, oppure Zeus coi rispettivi figli e figlie, e tra le Madri ad esempio Era con Efesto o Marte, oppure Demetra con Core/Persefone.

Il condizionamento operante nelle idee di potere dei genitori rispetto a quelle dei figli era già entrato nel mirino di Jung, che nel 1929 Jung scriveva: “Non v’è nulla che abbia un influsso psichico più forte sull’ambiente circostante, e in special modo sui figli, che la vita non vissuta dei genitori”. Dal canto loro, i figli non sono più costretti a fare la vita non vissuta dei genitori, ma sono sempre più subordinati alla loro stessa idea di potere da esercitare attraverso la non-violenza e la non-scelta, e così si autolimitano a un’eterna fanciullaggine e faticano a entrare nel mondo adulto. Nella sua vasta opera, Hillman ha rivisto la credenza secondo la quale il mondo personale sarebbe plasmato fin dall’inizio dai propri genitori, attribuendola a quell’idea archetipica della superstizione familiare, che svelata in terapia conduce al riconoscimento del fatto che non tanto siano i genitori a determinare la mancanza di potere nel mondo dei figli, ma piuttosto sono i figli a restare aggrappati all’importanza esclusiva rivolta ai genitori e a investirli del potere cosmico, ciò non permettendogli di vedere le cure paterne e materne che invece vengono offerte quotidianamente dall’anima e dal mondo nelle piccole grandi cose che ci mette davanti.

In modo analogo e più in generale, siamo chiamati ogni giorno a liberarci dalla superstizione del casualismo psichico, dall’idea positivista che noi siamo il risultato di ciò che è avvenuto prima, che siamo l’effetto della nostra volontà o di quella di altri. Se questo è vero per i fatti concreti e materiali, per le questioni appartenenti all’anima le cose stanno diversamente: noi non possiamo determinare chi siamo ab origine, ma possiamo accettare quale sia il potere che abbiamo nella vita in quanto predisposto e predeterminato dall’anima. Se siamo una ghianda, dice Hillman, non possiamo diventare un abete, ma possiamo accettare di essere e diventare una quercia. Diventa così fondamentale il saper riconoscere quei passaggi, quelle porte, quei momenti giusti e fondamentali della vita in quanto Opportunità e Occasioni (Kairos) come sincronicità che l’anima ci offre per i cambiamenti evolutivi nel senso in cui non noi, ma essa dispone. Conoscere sé stessi significa conoscere l’anima, e l’idea di potere che essa ci invita a riconoscere nella vita che abbiamo.

(Immagine: Gli dèi dell’Apocalisse, Roberto Ferri, olio su tela)

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