L’ipotesi dell’inconscio come “luminosità multipla”: quando cambiamo idea, stiamo risorgendo.

Premessa

Come possiamo evitare che un’idea dentro di noi diventi prevalente, prevaricante, totalizzante, e impossibile da mediare? Proviamo a onorare “La Giornata Mondiale della prevenzione del Suicidio” attraverso una prospettiva analitica. Forse possiamo onorare questa prevenzione considerando la psiche come un insieme di prospettive e punti di vista potenziali da coltivare costantemente, che si mediano a vicenda creando equilibrio tra le parti. Lo possiamo dire con dei simboli. Vediamo.

I motivi ricorrenti archetipici

La coda di pavone e l’arcobaleno, un tripudio di colori scintillanti, sono simboli significativi in psicologia archetipica. Infatti vengono intesi come specchio dei numerosi contenuti autonomi dell’inconscio collettivo che trovano armonia nella loro differenziazione e nella loro immagine rotante. Oltre a rappresentare “la rinascita” e il cambiamento in relazione ad esempio a un periodo sofferente, rimandano a una condizione psicologica particolare. Prima di analizzare questi simboli archetipici, facciamo una premessa sui contorni teorici della tradizione analitica. Jung parte dalla costatazione della presenza di contenuti di cui il soggetto è inconsapevole, e dal fatto che le immagini archetipiche siano simboli universali costanti e ricorrenti nella psiche umana (nei sogni, sintomi e nelle fantasie psicologiche spontanee). Uno dei tanti modi di lavorare con i simboli che ricorrono nella cultura e nella psiche oggettiva, sarebbe l’analisi psicologica delle allegorie ermetiche.

Inconscio come insieme di coscienze, le ipotesi di Jung

E infatti con l’ausilio dell’alchimia l’ipotesi dell’inconscio come coscienza multipla viene analizzata paragonando le immagini archetipiche ad alcune prospettive allegoriche. In particolare Jung associa le “scintillae” dell’anima universale, che si presentano secondo Khunrath nella “sostanza arcana” all’idea che l’inconscio collettivo possa essere “un insieme di coscienze”; esse infatti vengono chiamate anche “semi di luce diffusi nel caos”, “scintilla infuocata dell’anima del mondo”; l’intelletto umano viene definito anch’esso “scintilla”. Siamo di fronte per Jung all’intuizione da parte di alcuni alchimisti della natura psicologica dell’Opera Alchemica, ovvero la scoperta delle immagini archetipiche provenienti da un’anima cosmica o collettiva come filosoficamente lo sarebbero le eidos[1]. Le immagini archetipiche avrebbero dunque una “paracoscienza”, la loro numinosità corrisponderebbe alla loro luminosità, quindi la loro autonoma (numen) attivazione nella psiche di ogni essere psicologico di ogni luogo e tempo. Sarebbe quindi una coscienza ontologica (la luce ne sarebbe una rappresentazione simbolica) che rispetta e realizza nell’individuo la sua legge intrinseca [2]. Altri simboli di tali considerazioni sarebbero ad esempio la “monade del sole” o “stella più luminosa” riferito sempre da Khunrath, come la “scintilla unica” assimilabile per Jung alla totalità psicologica (il Sè)[3].

Anche con Paracelso, parafrasato da Jung, assistiamo a simili definizioni. Introduce infatti i termini “lumen naturae” già descritto da Khunrath o “uomo interiore”, inteso in psicologia come “essere psicologico profondo” nascosto (il Sè) dal corpo fisico (ego o psiche soggettiva), costituito dall’ “eterna luce dell’anima cosmica” (inconscio collettivo), o “corpo sottile-pneumatico”; tutti simboli che rendono empirica la tendenza dei prodotti archetipici a mostrarsi con una forma immaginale nel contesto dell’ars regia. I contenuti psichici proiettati nella materia oggetto di lavoro, rendevano gli elementi materiali dotati di “anima” (corpo sottile) e lavorando sul corpo sottile ovvero sul contenuto psichico, anche la materia trasmutava. Per l’ermetista il corpo sottile era una sostanza metafisica, per noi psicologi il corpo sottile della materia corrisponde simbolicamente all’immagine archetipica [4]. Le informazioni che provengono da queste prospettive danno corpo empirico alle ipotesi archetipiche di una coscienza multipla e di un’esigenza individuativa della psiche cosmica (inconscio collettivo). Questi fenomeni immaginativi obiettivi rendono possibile la concezione di una totalità psicologica frammentata in punti di luce o coscienze sconosciuta all’individuo. Riconoscere e riconoscersi con il lavoro analitico consente di ricondurre i contenuti psicologici, dai sogni ai sintomi, all’origine o la fonte da cui provengono, l’inconscio collettivo che tenta di soddisfare finalisticamente le sue immagini, per l’equilibrio psicologico.

Unire il molteplice psichico: Dorneus e l’unus mundus

L’individuo da un punto di vista clinico secondo Jung, dentro di sé sperimenta la tendenza alla frammentazione con lo scopo di scoprirne il senso e ri-costituire l’intero, così come in linea simbolica lo stesso processo lo abbia compiuto l’anima cosmica nella sua frammentazione che ha generato l’universo (cfr. miti cosmogonici dello Gnosticismo). L’ “intero” corrisponde in alchimia al “firmamento interiore” o il “cielo interiore”, che nelle informazioni che propone Dorneus, ci dice Jung, sarebbe il microcosmo o “unio mentalis” inteso come psiche umana ricomposta (intelletto che contempla le coscienze multiple dell’inconscio collettivo) e in seguito da ricongiungere all’universo potenziale, il cosmo prima della creazione (Mundus Archeypus). A che scopo si passa per queste molteplici “congiunzioni degli opposti”? Per raggiungere l’ “Unus Mundus”, simbolo della totalità psicologica definito dal principio di sincronicità per Jung, come spiega in “Mysterium Coniunctionis” (espansione della coscienza nel legame psiche-materia) [5]. Esso sarebbe il simbolo metafisico della condizione di totalità psicologica come spinta archetipica a conoscere e accogliere tutti i fenomeni oggettivi che non dipendono da noi, nella psiche e nel cosmo, e quindi essere consapevoli nella nostra vita di ciò che possiamo modificare con l’impegno e la volontà e ciò che invece accade senza che noi possiamo eliminarlo o modificarlo [6]. Altri simboli ermetici che richiamano le luminosità, citati da Jung, sono gli occhi di pesce mutuati da Morieno e proposti anche da Ripley, sempre aperti e vigili riproponendo anche i motivi legati all’occhio di Horus (udjat) o di Dio [7].

La coda di pavone e l’iride: simboli di unità o visione plurima?

Per ritornare ai simboli dell’iride e della “cauda pavonis”, proviamo a coglierne significati psicologici in comune. Il pavone compare come allegoria alchemica mutuata dal mito di Era e Argo i cui occhi vennero trasferiti appunto nella sua coda. Hillman affronta il tema citando Jung dal testo Mysterium Coniuctionis (p. 302), soffermandosi sull’idea dell’unità (imago Dei) che lo stesso studioso svizzero ha attribuito sia all’arcobaleno che e alla coda di pavone. Ancora più determinato a cogliere le luminosità multiple Hillman sostiene invece, citando G., B., Penotus (“La tavola dei simboli”) a cui Jung fa riferimento per fare riflessioni analitiche sui simboli che stiamo discutendo, che tali allegorie intese come simboli archetipici potrebbero celebrare non la venuta di Dio, ma il risorgere degli dèi (gli archetipi) dei morti e sepolti nel rimosso culturale, come lo sarebbe il politeismo in favore dei monoteismi. Monoteismo vs politeismi per lui è rappresentazione della rimozione operata dall’ego unilaterale (monos) rispetto alle forme dell’inconscio collettivo (politeismo). Lo psicologo americano quindi cerca di andare oltre Jung sulla fantasia dell’unità definita da lui “cristiana” e rivaluta gli occhi o i multi flores della cauda pavonis e i colori dell’arcobaleno, come archetipi del policentrismo dell’anima e delle immagini come occhi o coscienze dell’immaginazione: per Hillman la “realtà” [8].

Conclusioni

Ogni colore, inteso come contenuto psichico, sarebbe una celebrazione delle infinite sfumature che compongono la natura e le nostre profondità. Ci insegnano questi simboli che la visione a colori è una visione “plurima” dell’esistenza. Solo sfruttando le infinite prospettive psichiche (le immagini archetipiche) possiamo realizzare ciò che potenzialmente siamo nel profondo, ruotando come la coda di pavone o l’arcobaleno gli occhi (prospettive) su noi stessi e sul mondo, senza assumere posizioni fisse che portano ai conflitti interiori, sofferenze e impossibilità di mediare un’idea che potrebbe condurre a conseguenze nefaste e irreversibili. L’unità (equilibrio) è data dall’accoglienza del molteplice, infiniti modi di essere e modi di vedere le cose, celebrando l’armonia psichica. Ogni volta che cambiamo idea, stiamo risorgendo.

Note bibliografiche

1 Cfr., Jung, 1946-1954, Inconscio come coscienza multipla, paragrafo 6, in Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, in Opere vol. 8, p. 209.

2 Ibidem, p. 210.

3 Ibidem, pp. 210-211.

4 Ibidem, pp. 212-213.

5 Cfr., Nicolò, Dal complesso del denaro al valore intrinseco della riflessione psicologica, in “Quaderni di Psicologia Archetipica”, Nicolò, a cura di, 2022, pp. 137-141.

6 Ibidem, p. 141.

7 Cfr., Jung, 1946-1954, Inconscio come coscienza multipla, cit., pp. 214-215.

8 Cfr., Hillman, 1981-1993, L’azzurro e la “unio mentalis”, in Psicologia Alchemica, 2010, pp. 121-126.

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