Generalmente siamo portati a considerare la psicosi come una condizione pressoché incurabile senza psicofarmaci, e questo stereotipo ci è arrivato dalla stessa psichiatria di stampo positivista e razionalista. Non voglio dire che i farmaci non possano essere d’aiuto, soprattutto per controllare quelle condizioni acute più sofferenti e disperate; voglio piuttosto porre luce sul fatto che attualmente siamo così abituati all’utilizzo immediato di essi come rimedio veloce in ogni condizione, che perdiamo la consapevolezza del fatto che per la psiche il trattamento farmacologico è e resterà sempre un palliativo, il quale di essa non curerà niente, soprattutto a lungo termine. Posso affermarlo con sicurezza proprio perché sono psicologo e psicofarmacologo: la psiche è fatta di immagini che la coscienza, per non impazzire, ha bisogno di significare, e lavorare soltanto con le droghe non fa altro che instaurare una dipendenza da esse. Il che troppo spesso complica il rapporto della coscienza con le immagini, perché i farmaci le rimuovono o la distaccano da esse. La psicologia archetipica, invece, è in grado di fornire una conoscenza e una comprensione dei contenuti della follia, perché rende in grado di lavorare con e sulle immagini psichiche che essa produce.
L’archetipo della Luna e il suo potere psichico
La follia, che anticamente veniva associata all’imprevedibilità e alla mutevolezza del carattere femminile, è governata dall’archetipo della Luna. Ma nelle nostre radici culturali sono altrettanto antichissime le credenze e i miti che vedono la Luna come dispensatrice di fertilità, e associano il suo potere alla capacità di creare, far crescere e nutrire. Inoltre, il conflitto esterno tra uomo e donna è soltanto la fotografia di un conflitto intrapsichico che ciascuno porta spontaneamente dentro di sé – anche se perlopiù senza esserne consapevole – tra il proprio “Sole” e la propria “Luna”, ovvero tra coscienza e inconscio. La Luna, archetipicamente il pianeta o dimensione oscura più vicina e indissolubilmente a noi legata come satellite della nostra dimensione terrena, governa la notte e tutto ciò che rappresenta il profondo, e in quanto visibile nel suo graduale processo di illuminazione, prima crescente e poi calante fino a tornare ad essere nera e sparire, ha dato origine ai primissimi miti che spiegavano all’uomo i misteri della vita e della morte, della rinascita e della rigenerazione. Inoltre, la coincidenza temporale delle fasi lunari con il ciclo mestruale e l’instabilità dell’umore in questa condizione femminile hanno da sempre spiegato l’irrazionale del comportamento umano come un influsso del potere Luna, in grado sia di governare le loro emozioni e sensazioni, e di ispirarle creativamente, sia di renderle instabili mentalmente. In realtà, come vedremo, la follia è il sintomo di un bisogno creativo soppresso, ragion per cui per curarla dobbiamo anzitutto comprendere quali sono le relazioni in comune tra l’ispirazione creativa e la confusione associata alla perdita della ragione e alla dissociazione.
La lunacy, ovvero quella condizione sia d’ispirazione che di confusione associata alla pazzia, manifesta le sottili relazioni archetipiche che intercorrono tra queste due energie o componenti psichiche, e che le rendono interdipendenti l’una dall’altra. La nostra genialità, infatti, non sta troppo lontano dall’anormalità psichica. Il tipo di comprensione o ispirazione che la nostra Luna psichica ci dà non è un pensiero razionale, ma è più simile all’intuizione artistica del genio creativo, del sognatore e del veggente. Anticamente, nei riti della Luna il sacerdote o le sacerdotesse bevevano una bevanda lattiginosa, detta il soma, che aveva il potere di “far sentire” le cose, e di permettere al dio, alla dea o al demone attivo in quel momento di prendere il controllo su di sé: noi oggi diremmo di diventare folli e impazzire. Lo scopo era quello di assumere il potere della divinità, il potere senziente di sapere le cose intuendole e non razionalmente, ma attraverso l’ispirazione e creativamente. “Stay foolish”, esortava Steve Jobs per essere più creativi e produttivi nella vita e nella professione. E, di fatto, l’assunzione di sostanze psicoattive o psichedeliche è sempre stato uno dei modi possibili che gli artisti hanno trovato efficace nel “fargli vedere le cose” da punti di vista differenti e trovare la giusta ispirazione per produrre le opere più geniali e brillanti, similmente a come spesso riescono a farci fare i sogni notturni.
Jung nel suo saggio “Il divenire della personalità” ha analizzato che cosa significa psicologicamente bere il soma e consentire alla voce interiore del demone di parlare e di assumere il controllo per un certo tempo. Preoccuparsi di dare ascolto all’ispirazione che dal mondo interiore della psiche parla della realtà suprema del proprio essere richiede un atto di fede piuttosto raro, soprattutto quando ci si ritrova in una cultura che vede come insignificante e folle le immagini irrazionali e le fantasie che emergono da questo mondo. Quando si è stabilita la convinzione che tutto ciò che è stato creato non ha una realtà duratura e che finirà inevitabilmente per disintegrarsi, ci si rivolge alla propria realtà finale nella fede che questo e questo solo possa avere qualche virtù o valore. Per indicare il tipo di fede necessaria Jung si è servito della parola greca pistis, che significa una devozione religiosa che ha poco in comune con un credo intellettuale. È la fede e la devozione verso la giustezza del proprio essere, la sapienza di quella scintilla interna che parla e funziona autonomamente, largamente al di fuori del nostro controllo volitivo, razionale e conscio. Questa sapienza è stata chiamata dagli gnostici la Divina Sophia. Il termine greco “sophos”significa sapienza, e per Jung Sophia è una personificazione femminile dell’Anima come Dea Sapienza, ma in senso ancora più ampio della Minerva dei Romani. Sophia è la più alta e celeste incarnazione del principio femminile, la Dea Lunare nella sua funzione di conoscenza spirituale e divina. Nella maggior parte dei casi le dee della luna erano considerate la fonte della sapienza e della conoscenza, chiaramente una conoscenza riflessa e non esplicita, ma che giunge come un’illuminazione interiore nelle profondità oscure dell’inconscio, proprio come la Luna. Ecco che gli estremi allora si toccano, e la follia diventa la conoscenza suprema dell’inconoscibile: con un atto di fede, innanzitutto. La fede incondizionata verso lo stato della propria anima, verso la propria condizione mentale, verso il proprio modo di essere, cioè verso la propria psiche anche se risulta incomprensibile, disagiante e fuori controllo. Ovvero, ciò che più di ogni altra cosa è andato perduto negli ultimi secoli. Forse proprio per questo sono esplose le psicopatologie e sembra che in giro ci siano sempre più matti.
Dal mito alla terapia: la cura delle immagini
Un mito che illustra questo punto viene fornito dagli antichi Egizi nel racconto della ricerca di Iside della bara perduta contenente il corpo del figlio Osiride, ucciso da Seth, il fratello folle e cattivo. Nessuno sapeva dove fosse. Il primo indizio lo fornì ad Iside il balbettamento di un bambino, il quale aveva visto la cassa portata dalle onde. Il secondo venne dall’istinto del cane Anubis, che la condusse nel punto in cui aveva preso terra. Ma la cassa era già stata portata via e non c’era nessuno che potesse dirle dove. Allora udì la voce di un demone che le narrava ciò che era accaduto. Se analizziamo questo mito, vediamo come nel riscattare la coscienza (Osiride) distrutta dalla follia (Seth), la capacità di essere “follemente consapevoli” (la sapienza di Iside, la madre dei due) arrivi in modi alquanto irrazionali: il richiamo all’irresponsabile fantasia (i balbettamenti di un bambino), il seguire la parte animale del corpo e gli istinti (l’istinto di Anubis, il dio psicopompo), e la voce interiore (il demone o daimon come spirito-guida attraverso l’intuizione) furono la guida di Iside nella ricerca del corpo del figlio. Concludendosi con la ricomposizione del corpo smembrato di Osiride e con la sua rinascita a nuova vita, questo mito – come quello di Diòniso per i Greci – simbolizza la possibilità archetipica di restaurare un ordine superiore di coscienza e di sapienza, fondato proprio nella lunacy e nella follia.
Le idee formulate “sotto l’influsso della Luna”, per quanto possano inizialmente sembrare astruse e inferiori, posseggono una forza e una qualità irresistibile che non si ritrova mai in nessun pensiero che ha origine nella testa e nella coscienza. L’evidenza la ritroviamo nel dato di fatto che ogni invenzione più geniale e formidabile, come ogni opera artistica più impressionante e significativa, è sempre stata il frutto di uno stato alterato di coscienza, di un’intuizione improvvisa, di un sogno notturno o di un’epifania. La voce interiore, in realtà, continua a parlare per tutta la vita, sebbene sia in genere soffocata dal clamore dell’interesse personale, e le immagini fantastiche e lunari siano cancellate dalla luce diurna della coscienza e della razionalità invocata dalle sempre più pressanti richieste di performance del mondo. Eppure, già basterebbe che ogni volta che arriva la voce o un’immagine fantastica, noi ci chiedessimo che cosa simbolicamente significa, che ci si aprirebbe tutto uno scenario estremamente intelligente e creativo di noi stessi e della situazione. Semplicemente, seguiamo allora quell’altra logica, quella della Luna, ovvero del lógos dell’anima, e vediamo dove essa vuole portarci.
Ad esempio, Jung si rese conto che la psiche è fatta d’immagini, e che instaurando un dialogo con le immagini, invece di bollarle come insignificanti o assurde, giudicarle e censurarle, le immagini stesse ci informano dei nostri bisogni e dei nostri stati interiori, in quanto esse sono mere rappresentazioni delle parti psichiche attive in noi stessi. Scopriremo, come fece Jung attraverso la sua pratica immaginativa, che esse sono il vero psicologo analista, e che in esse è contenuta la diagnosi, la prognosi e l’eziologia di ogni problema! Tuttavia la nostra difficoltà maggiore e concreta resterà sempre quella di credervi e di saper leggere in esse i messaggi e le informazioni della psiche, nonché di vedere gli oggetti psichici.
Un metodo tanto antico quanto efficace
Determinata dal nostro modo di vedere, la realtà sensuale delle immagini come quella degli oggetti psichici è in costante mutamento, così come nella loro rappresentazione lo sono i sogni e le fantasie. La mutabilità o velocità con cui le immagini cambiano e si susseguono nella lunacy, se da una parte complica la loro comprensione, dall’altra è un importante indicatore del lavoro di destrutturazione e ristrutturazione che la psiche sta facendo rispetto all’io e al suo punto di vista su di esse. Dobbiamo renderci conto che in questa condizione il paziente appare piuttosto confuso nei confronti dei suoi immaginari, che si accumuleranno e si accavalleranno nella narrazione necessitandogli un tempo maggiore per caratterizzarli, allo scopo proprio di farlo confondere e suscitare evidentemente uno stato di collasso dell’Io. Perché la psiche ci impone questa condizione?
Possiamo iniziare a pensare seriamente che la follia sopraggiunga come intervento correttivo della psiche sul nostro atteggiamento, allo scopo di instaurare un regime lunare proprio per sovrastare quello solare della coscienza. Dal punto di vista egocentrico e antropocentrico, l’atteggiamento del paziente potrebbe allora risultare vagamente scisso dall’usuale esperienza di sé e del mondo esterno, e potrebbero essere osservabili i sintomi dissociativi tipici della depersonalizzazione e derealizzazione[1]. In questi casi, occorre stare attenti a non forzare troppo l’analisi delle immagini come quella del sogno. Nel caso di pazienti soliti a portare sogni o fantasie molto lunghi e complessi, si valuterà seriamente se sia il caso di prenderli in considerazione o metterli da parte a favore di un approccio invece più pragmatico e basato sul colloquio botta-e-risposta con il racconto dei fatti diurni. Ad ogni modo, le immagini vanno evacuate significandole. Prendiamo il caso di quei stati onirico-meditativi, pseudoallucinatori o di eccitazione mentale, in cui si presentano molti oggetti, animali e personae oniriche che si susseguono in scene e luoghi mutevoli, spaziando ad esempio dal cielo al mare alla terra, da città a luoghi selvaggi o desolati e con molte situazioni surreali, indefinite o rocambolesche. Come si fa in questo caso a trovare un nesso logico, un filo conduttore tra di esse?
Forse sarà tanto difficile far “ragionare” il paziente secondo il regime solare egoico quanto invece sarà facile farlo “delirare sapientemente” seguendo quello della Luna. Effettivamente, dobbiamo stare molto attenti a non scompensare ulteriormente coloro le cui immaginazioni e confabulazioni appaiono già indicarci una certa frammentazione psichica. La frammentazione e dispersione delle rappresentazioni di sé viene usualmente descritta in psicologia dinamica come il corrispettivo di molteplici e non integrati stati dell’io. Questa caratteristica psichica si ritrova nei sogni come nel pensiero mutevole e nella dissociazione patologica, facendo pensare a una diretta associazione tra questo tipo di stato di coscienza – quello dominato dalla Luna, appunto – e uno stato di fragilità del “sognatore a occhi aperti”, il quale non è ancora riuscito a comprendere tutti i suoi stati mentali. Il paziente può apparire poco espressivo, distaccato o soggetto ad amnesie. Ad esempio non ricorda le immagini o i sogni, e al rivedere ciò che ha detto o scritto fa difficoltà a riconoscerlo come proprio, e magari poi tutt’a un tratto ne ricorda alcune parti in modo estremamente lucido, oppure lo confonde con altri sogni. Può capitare anche che il paziente viva l’esperienza di alcuni immaginari come caratterizzata da una sensazione di distacco dal proprio corpo o dai propri processi mentali, come se questi venissero osservati dall’esterno e attraverso l’esperienza di essere fuori dal corpo, a cui spesso è associata la perdita di sensibilità o l’incapacità di riconoscere le proprie emozioni, specialmente in dialoghi interattivi con una persona onirica o immaginaria. Se, infatti, il dialogo con sé stessi appartiene a tutte le persone – ad esempio nel prendere decisioni o durante l’elaborazione di un lutto -, nelle persone con disturbo dissociativo le conversazioni si fanno molto più frequenti e, piuttosto che restare simboliche, sono del tutto personizzate. Inoltre mancano di qualità intenzionali, per cui sono maggiormente agiti inconsapevoli dove il paziente appare in balìa della persona psichica con cui in turno dialoga dentro di sé[1]. In queste condizioni occorre prestare particolare attenzione nell’utilizzo dell’amplificazione degli immaginari, perché tenderanno più degli altri a perdersi o a restarne invischiati emotivamente, e l’analista si perderà facilmente dietro di essi.
Dobbiamo tuttavia considerare che, dal punto di vita qualitativo, la mutabilità delle immagini è un importante indicatore dello stato di trasformazione degli immaginari psichici, poiché rende conto della fase in cui si trova il processo di trasformazione della materia psichica nel sognatore. A tal proposito, l’analista dovrà iniziare a seguire le immagini coscientemente del fatto che esse non sono letterali, ma metafore del contenuto psichico che scorre come un torrente nel flusso di coscienza della conversazione. In pratica, nella psicoterapia analitica archetipica trattiamo allora di intendere le stesse immagini come linguaggio metaforico, alchemico e mitico, e di renderle in questo modo al paziente, ovvero ri-narrarle per farle ri-vedere e ri-conoscere al sognatore con la loro prospettiva unificante e all’interno della coincidenza di significato. Attraverso la metafora, come quelle dell’alchimia, ma anche quelle dell’arte, del teatro o del cinema, il processo di trasformazione delle immagini in significato psicologico determina il fulcro della pratica terapeutica. Come per Hillman, la nostra è ben definita “una terapia centrata sull’immagine”, in cui l’analisi degli immaginari psichici utilizza i vari linguaggi del mito allo scopo di fondere di nuovo insieme i vari punti di vista dell’io sull’immagine e sulla psiche, e di consolidarli tra essi in una più solida e ampia visione olistica, capace di tollerare nonché utilizzare attivamente il polipsichismo e il pluralismo delle immagini. D’altronde, è sempre stato proprio questo lo scopo intrinseco ai vari linguaggi evocativi e facilitatori della trasformazione degli immagini psichici in stati mentali di ordine superiore – attraverso l’insight o l’illuminazione interiore -, come quelli dell’alchimia, dell’astrologia o delle arti. Questi linguaggi – che alla percezione dell’uomo razionale e concreto possono benissimo apparire proprio come deliri, visioni mistiche, allucinazioni, dissociazioni, pensieri magici e irrazionali -, sono capaci di fornire immediatamente la comprensione analogica dei fatti sincronici della psiche, e la nutrono proprio forzando la coscienza razionale ad accogliere e rendersi conto dell’esistenza di un altro modo di esistere e pensare oltre quello logico-lineare, ovvero proprio quello per fantasie, che segue il principio della sincronicità.
La pratica analitica della Lunacy
Abbiamo detto che anzitutto l’analista dovrà saper “delirare sapientemente” insieme al paziente, e avere la stessa fede nelle immagini che intende infondergli. Non tutti gli psicoterapeuti sono pronti a farlo: bisogna avere un nucleo psicotico attivo da qualche parte, chiaramente non complessuale ma già ampiamente lavorato in un percorso di terapia didattica. Quindi, come stava scritto sulla porta per l’Ade, “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”: se non siete in grado di attraversare il confine tra il mondo della razionalità e quello dell’irrazionale non fatelo prima di tutto per voi stessi, perché potreste perdervi prima di fare ulteriori danni alla coscienza già frammentata del paziente. Se non ve la sentite, siete sempre liberi di inviarlo a un collega o a un centro specializzato.
Se invece siete già pratici del “vedere nel buio” senza perdervi, e siete in grado di riemergere da essa orientandovi proprio utilizzando la guida dei simboli, delle immagini e delle sincronicità che occorrono tra i contenuti psichici del paziente e l’anima della situazione, accoglierete anzitutto il paziente confuso sulla sua situazione nella dimensione della Luna nella quale si trova senza saperlo, introducendolo ad essa e amplificandola il giusto necessario affiché anche il paziente l’accolga, ovvero accolga la propria condizione psichica e la mutevolezza e varietà delle immagini psichiche. Siate pronti al fatto che il paziente durante l’analisi ripetutamente perderà coerenza con sé stesso e coesione con la situazione, a causa dell’elevata ambiguità e mutevolezza delle metafore immaginative, ma ricordatevi sempre che ciò sta accadendo perché la psiche proprio per questo sta cercando di trasformare tutta la realtà diurna in un susseguirsi di immagini, come in un sogno. Chiediamoci un momento, anche assieme al paziente, senza lasciarci intimidire dal suo o dal nostro giudizio moralizzante: qual è per la psiche lo scopo di un episodio psicotico? Non è forse quello di indurre nell’individuo la perdita del controllo dell’Io diurno sulle immagini oniriche della psiche, per farglielo vedere e capire in un altro modo? E ciò non è forse quello che spesso ricerchiamo volontariamente, ad esempio quando ci droghiamo o cerchiamo un’avventura erotica con uno sconosciuto rievocando il nostro Pan delirante, o sentiamo il bisogno di evadere dalla realtà diurna e ci tuffiamo dentro la folla festante di Diòniso? È proprio facendo entrare nella coscienza le immagini in modo incontrollato, ovvero nel senso di ciò che dal punto di vista diurno chiamiamo delirio e allucinazione, pensiero confuso e mancanza di mentalizzazione, che la psiche costringe l’io a confondere ciò che è soggettivo con ciò che appare oggettivo, e impone all’esame di realtà una quantità di immagini normalmente ritenute estranee, fuori luogo o inesistenti. Proprio per questo, lungi dal voler far insorgere episodi psicotici, la terapia archetipica propone per tutti i pazienti la prescrizione del punto di vista onirico delle immagini nel contesto idoneo e controllato della seduta analitica, riproducendo analiticamente e consapevolmente quello che fanno già per sé il sogno e le fantasie. L’io diurno può destituirsi dal ruolo dell’io onirico nella realtà diurna soltanto se trasformiamo il modo di vedere questa realtà in quello in cui vediamo un sogno, ovvero se psicologizziamo la realtà del concretismo. E il linguaggio metaforico dell’anima, apparendo proprio come quello di un sogno artisticamente delirante e creativamente allucinatorio, è tremendamente efficace nel farlo. Come dice Hillman:
“Il sogno, in quanto immagine, o fascio di immagini, acquista quindi un valore paradigmatico, quasi stessimo situando l’intero procedimento psicoterapeutico nel contesto di un sogno. […] Non già però che i sogni in quanto tali diventino il punto focale della terapia; si tratta piuttosto del fatto che tutti gli eventi sono considerati da un punto di vista “onirico”, come se fossero immagini, espressioni metaforiche. Il sogno non è nel paziente, e non è qualcosa che lui (o lei) fa o costruisce; è invece il paziente che è nel sogno e viene costruito dalla sua «finzione». Questi lavori sul sogno mostrano come si possa creare un’immagine, cioè come attraverso varie manipolazioni – inversioni grammaticali, eliminazione della punteggiatura, rienunciazione (restatement) ed eco, umorismo, amplificazione, un evento possa essere visto come metafora. Lavorare con i sogni o con gli eventi della vita come se fossero sogni significa portare alla riflessione un discorso dichiarativo e irriflessivo, talché esso cessi di credere di avere referenti oggettivi; il discorso diventa immaginistico, autoreferente, descrittivo di una condizione psichica quale sua stessa espressione”[2].
Torniamo allora alla lunacy e al mito di Iside e Osiride, rivedendolo in questa chiave metaforica immaginale. Possiamo distinguere tre fasi o momenti dell’intervento archetipico con il paziente di area psicotica:
- Far capire al paziente che lo scopo la sua condizione in quel momento non è sbagliata, non è un errore o un’insignificante aberrazione, ma al contrario è il richiamo significativo della propria parte lunare, e lo scopo della terapia non è quindi quello di cercare di tornare subito “normali”, ma di diventare “follemente consapevoli”, ovvero di lasciarsi ispirare proprio dalle immagini in modo non letterale ma metaforico, anche se il loro contenuto fantastico sembra irresponsabile e bambinesco;
- Quindi, seguire l’ispirazione che arriva dal proprio corpo e concentrarsi sui propri desideri più profondi, liberando il proprio erotismo e le parti istintuali ed emotive che risultano bloccate o compromesse nella libertà di espressione e funzionamento, in senso non letterale ma artistico e creativo, e instaurando un dialogo attivo con le immagini;
- Seguire ora le immagini e la voce interiore come guida. L’ispirazione diviene intuizione e sensazione più concreta, foriera di nuove immagini più logiche e lucide, quella “saggezza divina” dell’illuminazione interiore, cercando sempre di non letteralizzare parole e immagini agendole senza essere consapevoli del loro contenuto psicologico.
Lo scopo finale di questo procedimento sarà sempre, oltre di aumentare l’autostima e il senso di efficacia del paziente, quello di fargli vedere la sua condizione come un dono divino oltre che come un castigo, e di fargli acquisire la capacità di utilizzare funzionalmente la possibilità di accedere a informazioni non convenzionali e quindi per questo non razionali e non letterali, da utilizzare in una nuova forma artistica e creativa volta a creare azioni e atteggiamenti nutriti da un senso di bellezza e conoscenza del significato profondo delle relazioni con gli altri, e della realtà poliedrica delle parti psichiche in gioco nel momento. Quando il paziente si abitua a farlo consapevolmente, il suo punto di vista cambia e l’Io automaticamente si organizza, il paziente non è più in conflitto con sé stesso e con la sua psiche, ma riesce a trovare un modo ordinato e controllato di essere e manifestare sé stesso e il potere creativo che porta in sé nelle attività e nei contesti in cui questo è richiesto e necessario.
Tutte le personalità più geniali e artistiche inizialmente erano persone che in una o più fasi critiche della propria vita sono state “folli” e dominate dal potere della lunacy. Non pensiamo solo ai casi più eclatanti degli artisti come Picasso, Van Gogh o Dalì, ma a tutti quei casi in cui anche soltanto in certi specifici momenti della vita l’irrazionale ha sopraffatto il razionale, costringendo la persona a far venire in questo mondo il materiale dell’altro mondo. La dimensione della Luna, come il pianeta stesso, è sempre lì per tutti anche quando non la vediamo. Ciò significa che siamo tutti potenzialmente pazzi, e la differenza tra chi lo è cronicamente e tutti gli altri – come disse Freud, tutti possono essere considerati pazzi per almeno cinque minuti al giorno – sta nel quanto siamo in grado di vedere le immagini che vengono dalla Luna, di comprenderle e di utilizzarle, avendo fede che esse significhino qualcosa di prezioso e fondamentale per la nostra esistenza, piuttosto che tentare di cancellarle.
[1] Cfr. M. Steinberg, M. Schnall (2001), La dissociazione. I cinque sintomi fondamentali. Raffaello Cortina, Milano, 2006.
[2] Cfr. J. Hillman (1980), Psicologia archetipica. Con un saggio di Silvia Ronchey, Treccani, 2021, pag. 122 e seg.
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