La Sincronicità, ovvero nulla accade per caso.

Noi crediamo che il nostro modo di pensare e di apprendere nuove cose funzioni soltanto in modo logico e lineare, ovvero per connessioni di causa-effetto, e che i pensieri, i fatti, le cose che ci accadono siano tutti collegati tra loro in un modo temporalmente ordinato, dove l’evento precedente deve aver per forza causato il successivo. Tutto deve poter essere spiegato scientificamente, ovvero viene data dignità di esistenza solo ai fenomeni che possono essere verificati in un esperimento le cui variabili possano essere controllate e i cui risultati possano essere ripetuti da chiunque. Ma troppo spesso ci accadono eventi che consideriamo “strani” o inspiegabili, perché nonostante ci appaiano in qualche modo collegati, essi non sembrano poter essere stati causati direttamente l’uno dall’altro. Accadendo nello stesso tempo o anche a distanza di anni tra loro, ripensando alla nostra vita emergono fatti e coincidenze che solo per noi sembrano avere un senso speciale, e spesso esitiamo a parlarne e a credere noi stessi che possa esistere un destino o un percorso nel quale gli eventi della nostra vita debbano per forza incontrarsi in un certo modo con quelli degli altri. Ciò accade perché la società moderna, dopo Cartesio e con il monoteismo cristiano, non ha più tenuto conto della sincronicità come nostro modo “normale” di pensare. Oggi sappiamo per certo che nella nostra psiche tutto accade senza limiti di spazio e di tempo, e che la nostra conoscenza è costituita dalla nostra capacità immaginativa, che neurobiologicamente consiste nella capacità di formare connessioni sinaptiche tra neuroni che svolgono funzioni del tutto diverse tra loro, generando e conservando immagini mentali, ricordi, concetti, pensieri, intuizioni, sensazioni, e più in generale nuova consapevolezza del mondo e di sé stessi, attraverso un continuo accesso a informazioni di ogni ordine fisico e chimico che vengono tra loro integrate senza linearità logica, bensì secondo connessione di significato. Eppure viviamo il retaggio del proibizionismo psichico operato dalla scienza monoteista per censurare la fantasìa e cancellare i fenomeni inspiegabili dalla realtà fisica e terrena, poiché l’anima, la magia, le facoltà divine e i “miracoli” dovevano per forza appartenere al metafisico e perciò ricadere nell’ambito della religione, che era materia di studio dei teologi e che semmai seguiva la volontà e il disegno di Dio, non di certo quello dell’uomo. Nell’ultimo secolo, nonostante la reificazione della sincronicità nel fondamentale lavoro di ricerca iniziato dal fisico Pauli insieme a Carl Gustav Jung, tuttavia avviandoci sempre più a cancellare religione e spiritualità dal sistema di credenze comune, assurgendo ormai la Scienza come unico Dio, la sincronicità resta ancora relegata al “pensiero magico” del disturbo schizoide o alla “pseudologia fantastica” della diagnosi psichiatrica, senza poter liberamente uscire allo scoperto nei discorsi quotidiani e senza dover subire riduzioni di importanza e pregiudizi nella pratica terapeutica comune. Rivediamo allora in che consiste questa nostra modalità di pensiero, per niente seconda a quella logica o lineare.

La sincronicità costruisce la nostra esistenza

La sincronicità, o coincidenza significativa, è un concetto introdotto da Jung nel 1950 come “principio di nessi acausali”, che consiste in un legame tra due eventi che avvengono contemporaneamente, connessi tra loro ma non in modo causale, cioè non in modo tale che l’uno influisca materialmente sull’altro. Essi apparterrebbero piuttosto a un medesimo contesto o contenuto significativo, che accadendo insieme o “nello stesso tempo” richiamano su di essi la nostra attenzione, come l’allarme degli orologi di due persone sincronizzati alla stessa ora, o come la famosa Cetonia Aurata che picchiò alla finestra di Jung mentre si trovava con una paziente analizzando il sogno di uno scarabeo dorato. A queste strane coincidenze, noi immediatamente colleghiamo interiormente il significato degli eventi occorsi in modo sincronistico traendone spiegazioni utili a comprendere ciò che non capiamo di noi stessi e del mondo.

Un giorno un mio paziente mi riportò il fatto che si era recentemente schiantato con l’automobile, di notte, sul tronco di un albero. Analizzandone l’immagine, gli introdussi il significato archetipico dell’Albero come simbolo della Madre Natura e della “vita” dell’uomo, di “radicamento” nelle proprie “radici” cioè nella propria discendenza e allo stesso tempo di “elevazione” e “prolungamento” da esse, quindi di “rigenerazione” in un ciclo eterno laddove per crescere bisognava “discendere” verso il basso, “affondare le radici in profondità” come rami inferiori nella terra, “fissarsi” e “stare” dentro di essa e in questo modo poter resistere al tempo, al vento e alle intemperie forgiando in esse il proprio tronco e crescendo sempre più in alto allo stesso modo che in basso. Egli iniziò immediatamente a collegare i significati dell’immagine dell’albero con altre circostanze ed eventi personali, ad esempio che si era “sradicato” dalla famiglia e da sua madre, che era ora che egli abbracciasse e prendesse in mano la propria “vita”, e forse per questo era finito a sbattere su quell’albero, per rendersi conto che lui stava sempre con la testa per aria ma senza affondare radici: alto e basso in lui erano sbilanciati e sconnessi, disse iniziando ad elencare anche una serie di altri avvenimenti che coincidevano con la presenza reale o metaforica di alberi. Aveva creato una sincronicità tra l’albero schiantato dall’automobile e il suo stato interno, e aveva colto il senso che quell’evento aveva portato per modificare il suo atteggiamento verso la vita e gli altri, per cambiare negli eventi futuri il suo comportamento in modo da poter realizzare ciò di cui sentiva il bisogno.

Episodi del genere accadono spesso in psicoterapia, i pazienti riferiscono ogni genere di situazioni e accadimenti, ma non altrettanto spesso gli analisti sono pronti ad accogliere le sincronicità nascoste nel significato simbolico degli eventi e nelle immagini del racconto del paziente. Ciò’ perché anche la psicologia oggi è schiava del metodo scientifico, per cui all’imprevedibilità e all’irrazionalità delle immagini del racconto del paziente si preferisce la tempestività e la sicurezza di un programma terapeutico o di un metodo che pretende di avere soluzioni prescritte e valide per tutti, e lo psicologo si sente sempre un po’ tronfio nell’usare il potere del medico di fornire una ricetta credendo di avere sempre la risposta giusta. La verità è che il significato dell’evento lo porta sempre il paziente con le sue immagini e credenze, e nei confronti di esso il terapeuta puo’ solo comportarsi accogliendo senza pregiudizio le sue sincronicità e rieducandolo a cercare il significato nelle immagini simboliche degli eventi, che, come nei sogni, non sono ricette valide per tutti ma vanno amplificate come metafore all’interno di un’altra sincronicità: quella della relazione che si crea tra analista e paziente. Al di fuori della stanza d’analisi, la maggior parte di noi non si rende più granché conto che la nostra vita quotidiana, e forse tutta la nostra esistenza, viene costruita su un tale modo di pensare e immaginare il mondo in sincronicità con se stessi e gli altri in ogni momento. Aldilà delle situazioni-limite in cui siamo costretti a riflettere sul significato di ciò che è accaduto, come a seguito di un incidente o di un gesto sconsiderato, ognuno di noi, indifferentemente dal modo e dalla frequenza, utilizza il significato delle immagini archetipiche presenti per portare nella propria coscienza i contenuti dell’inconscio, attraverso un meccanismo intrapsichico di apprendimento per significato che lega insieme gli stimoli esterni al sistema interno di credenze, e modificando quest’ultimo attraverso le coincidenze significative che spontaneamente accadono ogni giorno tra immagini psichiche ed eventi.

In una serie di recenti esperimenti i cui risultati sono in via di pubblicazione, abbiamo inviato quotidianamente una serie di immagini archetipiche (derivate dagli immaginari dall’alchimia) a un campione di soggetti, chiedendogli di valutare gli eventi che gli accadevano giornalmente attraverso una scala di risposte di atteggiamenti avuti nei confronti degli eventi, alcune delle quali contenevano anche il significato simbolico delle immagini somministrate. Ne è risultato che in più del doppio dei casi, i soggetti valutavano maggiormente gli eventi che gli erano accaduti utilizzando più o meno inconsapevolmente il significato simbolico delle immagini ricevute, le quali ovviamente non avevano alcun collegamento razionale o materiale di causa-effetto con gli eventi personali. Le immagini venivano perciò utilizzate come “gancio proiettivo” per la formazione delle sincronicità nel soggetto, facilitando l’aggancio dei contenuti inconsci del soggetto attraverso il compito di dover dare significato a ciò che era accaduto in ciascuna giornata. In altre parole, noi utilizziamo il significato simbolico implicito delle immagini che vediamo per capire quello degli eventi che ci accadono, ordinandoli nella nostra psiche sotto forma di coincidenze significative che continuamente spiegano il senso della nostra esistenza. La sincronicità è quindi un meccanismo psichico innato di costruzione della realtà attraverso l’immaginazione, che si attiva nell’uopo del momento e che in psicoterapia puo’ essere utilizzata per conoscere sé stessi e riscrivere la storia della propria vita in modo altamente curativo. Andando in profondo dentro la sincronicità nella nostra riflessione su ciò che ci è accaduto, possiamo essere in grado di cambiare la natura e la qualità degli eventi della nostra vita e di scegliere come vederli, dandogli quindi una certa qualità di esistenza.

Archetipi e sincronicità: la psicoterapia entra nel quotidiano

Carl Gustav Jung definì con il termine di sincronicità tutte le possibili combinazioni di coincidenze tra stati soggettivi e oggettivi che possono essere individuate nella ricerca di una corrispondenza tra uno stato interno ed uno esterno, e le classificò in tre categorie: I) coincidenza di uno stato psichico del soggetto con un evento esterno contemporaneo e obiettivo, che corrisponde allo stato o al contenuto psichico; II) coincidenza di uno stato psichico con un evento esterno corrispondente, distanziato nello spazio e che puo’ essere verificato; III) coincidenza di uno stato psichico con un evento corrispondente non ancora esistente, futuro, quindi distante nel tempo, il quale a sua volta puo’ essere verificato solo a posteriori. In ciascuna di queste categorie è centrale la coincidenza tra lo stato psichico del soggetto e l’evento esterno che egli si trova ad osservare. La sincronicità sarebbe quindi una coincidenza significativa per il soggetto che la osserva, che potrebbe sottendere un meccanismo psichico evolutosi per associare elementi esterni collegabili per senso o significato a quelli interni nella psiche del soggetto.

Le implicazioni cliniche che la teoria della sincronicità comporta sono imponenti. La ricerca di nuovo senso e significato da attribuire agli eventi personali è in psicoanalisi, come nella vita quotidiana, ciò che puo’ segnare il cambiamento delle proprie concezioni e credenze. L’esperienza clinica del setting analitico rappresenta la situazione in cui si ravvisa il maggior numero di sincronicità, nonché la dimensione in cui far confluire questi fenomeni, allo scopo di educare il paziente alla cosiddetta “realtà dell’anima”: il paziente, guidato dal terapeuta, è messo nella condizione facilitata di dare senso psicologico agli eventi personali, condizione necessaria della coincidenza significativa, proponendo la connessione simbolica e immaginale. D’altra parte, l’individuo sembra normalmente portato a mettere in atto questa ricerca di senso anche da solo e come forma innata di adattamento, sia coscientemente quando sente la necessità di spiegarsi gli eventi accaduti e le relazioni da lui intrattenute, sia spontaneamente attraverso la costellazione di archetipi come attività autonoma della psiche particolarmente nei periodi di crisi e cambiamento. Nel primo caso, la coincidenza significativa si formerebbe per volontà di adattamento a fenomeni che non sembra possibile far rientrare nel sistema di credenze fino ad allora riconosciuto, in poche parole per la necessità di attuare un cambio di prospettiva come forma di adattamento. Nel secondo caso, la sincronicità avrebbe la stessa funzione ma accadrebbe come un meccanismo arcaico e inconscio di attivazione autonoma di immagini psichiche o archetipi, che si rendono disponibili come forme innate di conoscenza implicita con le quali è possibile associare tra di loro gli eventi ordinati acasualmente per comporre un senso di continuità tra quelli del proprio vissuto psichico e quelli della realtà esterna.

Gli archetipi sono infatti le configurazioni primarie della realtà così come viene ricostruita dalla psiche stessa. Secondo la psicologia archetipica di James Hillman, gli archetipi sono “i modelli più profondi del funzionamento psichico […] che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo”. Per Jung, “nella vita vi sono tanti archetipi quante situazioni tipiche. La continua ripetizione ha impresso queste esperienze nella nostra costituzione psichica, non nella forma di immagini dotate di contenuto, ma in principio solo come ‘forma senza contenuto’, atte a rappresentare solo la possibilità di un certo tipo di percezione e azione. Quando si presenta una situazione che corrisponde a un dato archetipo, allora l’archetipo viene attivato, e si sviluppa una coattività che, come una forza istintiva, si fa strada contro ogni ragione e volontà oppure produce un conflitto di dimensioni patologiche, cioè una nevrosi ”. Gli archetipi sono perciò proprietà dell’inconscio che strutturano gli aspetti emergenti della vita psichica. “L’archetipo non proviene dai fatti fisici, esso piuttosto illustra il modo in cui la psiche vive il fatto fisico”. In pratica, quando gli eventi si susseguono tra di loro e sembrano “inseguire” le persone, essi appaiono come mossi da forze o fattori che dal mondo invisibile o immateriale (il mondo inconscio) trascendono in quello materiale della concretezza (ovvero giungono alla coscienza), dando un senso allo stato psichico interno anch’esso invisibile e immateriale. Dietro ai fenomeni di questo tipo, Jung intravede un fondamento archetipico comune e sostiene che i principi dinamici che presiedono a manifestazioni congiunte come le sincronicità, siano essi materiali o immateriali, sono gli archetipi.

La sincronicità ci porta dentro al nostro destino

Se la psiche umana funziona per mezzo della formazione di immagini archetipiche, ciò che sperimentiamo quotidianamente è tuttavia una considerevole difficoltà a cambiare i nostri immaginari prevalenti, soprattutto quelli che si sono consolidati nel tempo, nonché le nostre concezioni e credenze. I clinici sperimentano spesso questa difficoltà nei pazienti in analisi. La ricerca in psicologia cognitiva e sociale ha dimostrato che le persone si occupano e si ricordano maggiormente del feedback sociale che conferma, anziché disconferma, le proprie idee personali. In particolare, le persone si sforzano di mettere le valutazioni degli altri in accordo con le concezioni di sé, ovvero cercano di far combaciare le valutazioni esterne con il proprio stato interno. Questi studi dimostrano che le persone hanno una generale tendenza a considerare maggiormente le istanze che confermano all’interno del proprio sistema di credenze i fenomeni verso i quali sono chiamati a dare una valutazione, ritenendo più diagnostiche e convincenti le istanze che confermano i fenomeni rilevati rispetto a quelle che invece li smentiscono.

In questo contesto la sincronicità si inserisce come uno strumento prezioso che puo’ essere utilizzato adattivamente per cambiare le proprie credenze sulle istanze di fenomeni ed eventi pur cambiando atteggiamento verso di essi, ovvero per trarre da essi il significato necessario a stabilire un adattamento, e per produrre spiegazioni su sé stessi e sul mondo esterno che favoriscano un equilibrio psichico. In psicoanalisi, la sincronicità è stata messa in relazione alla formazione di insight per aiutare i pazienti a sviluppare gli immaginari archetipici predominanti e a cambiare le relative concezioni che produrrebbero atteggiamenti disfunzionali. La relazione analitica puo’ costituire un campo emergente denso di sincronicità utili a far cambiare le credenze del paziente, laddove la proiezione del paziente si attiverebbe per rimodulare la configurazione della propria identità. Per fungere da “ganci proiettivi”, occorre che i fenomeni esterni (nei termini di oggetti e persone, luoghi e accadimenti) possiedano caratteristiche proprie, atte ad agganciare e far emergere contenuti avvolti nell’indeterminatezza inconscia.

Nella pratica analitica, il narrare storie mitiche o archetipiche al paziente gli permette l’elaborazione di parallelismi e coincidenze significative, stimolando la configurazione di un pattern archetipico che sottende il suo dramma affettivo insieme a quello dell’archetipo o del mito ad esso collegato. Qui il lavoro di destrutturazione e ristrutturazione delle immagini psichiche del paziente viene tradotto nel linguaggio dell’Alchimia, un sistema allegorico e metaforico universale ricco di configurazioni archetipiche che, secondo Jung e i suoi successori, puo’ essere utilizzato dallo psicologo con la tecnica dell’amplificazione rispetto ai contenuti onirici e immaginativi del paziente. Secondo Hillman, il linguaggio alchemico induce un immediato effetto terapeutico poiché impone la metafora nel racconto sugli eventi personali del paziente, dando chiarezza alla sua mente e operando una sofisticazione del suo pensiero. L’amplificazione dei vissuti e degli immaginari del paziente porterebbe alla formazione di coincidenze significative tra i possibili significati delle immagini alchemiche esplorate nel racconto del paziente e il suo stato psichico, utili a formare connessioni di senso tra gli eventi esterni e quelli interni e perciò nuove relazioni di significato con cui valutarli.

Utilizzando sincronicità formate autonomamente dai soggetti con le immagini alchemiche o mitologiche, ma più in generale con le immagini psichiche di cui ne viene amplificato il significato simbolico in terapia, il paziente puo’ riprodurre ciò che siamo comunemente chiamati a fare ogni giorno quando ci troviamo in una situazione o in un periodo complicato, stressante o che comunque richiede che ci adattiamo a un cambiamento per andare avanti nel nostro percorso, verso il nostro destino. In questo modo, noi ci rieduchiamo a considerare la nostra vita e il mondo come dotati di anima, nonché un complesso sistema di eventi ordinati secondo relazioni di significato, e non solamente secondo meccanismi fissi e prestabiliti materialisticamente che valgono allo stesso modo per ciascun soggetto. La sincronicità è il vero “sale della vita”: è la capacità di saper vedere aldilà delle apparenze, il dono innato che noi perdiamo ogni volta che ci affidiamo ciecamente alla scienza o alla spiegazione causale aprioristica e prestabilita di ciascun fenomeno vivente, attribuendo con ciò il nostro destino veramente al caso, invece di costruirlo in modo consapevole, partecipe e collettivo.

Riferimenti bibliografici:

Carl Gustav Jung, La sincronicità, 1951, in Opere vol.8, appendice, Torino, Boringhieri, 1976.

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Carl Gustav Jung, La sincronicità come principio di nessi acasuali, 1952, in Opere vol.8, Torino, Boringhieri, 1976.

Claudio Widmann, Introduzione alla sincronicità, Edizioni scientifiche Ma.Gi., 2016.

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James Hillman, Re-visione della psicologia, 1983, Adelphi Edizioni Milano, pg.19-21.

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