Perché dobbiamo soffrire?

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La nostra sofferenza è la via di accesso e il percorso per il nostro cambiamento, ma per poter cambiare dobbiamo accettarla ed attraversarla. Ci vuole un vero e proprio atto di volontà, coraggio e amore per se stessi per scegliere di scendere nelle profondità in cui la sofferenza vuole portarci. Scendere negli abissi della propria anima significa andare a rivedere le immagini penose e dolorose di noi stessi, riconoscerle come proprie, accettarle per poter così comprenderne il significato. Sono proprio quelle immagini che noi invece tendiamo a fuggire o a lasciarci alle spalle.

Se davvero vogliamo ricominciare, smettere di soffrire, una vita diversa, un cambiamento, noi non possiamo evitare il dolore, non possiamo evitare le immagini della nostra sofferenza, perché esse torneranno a cercarci, torneremo sempre a confrontarci con esse. Anzi, come diceva Jung, è proprio lì che bisogna andare. Bisogna anzitutto accettare la sofferenza come dimensione indispensabile alla vita, come passaggio inevitabile che ognuno, in un modo o nell’altro, è chiamato a transitare. Ad ogni suo livello, infatti, la sofferenza è il linguaggio della nostra psiche: dalla paura e dall’ansia, dal sintomo e dalla crisi, dal conflitto con gli altri e dall’indecisione, dalla confusione e dall’insoddisfazione, fino alla malattia di un organo, al trauma o alla violenza, alla distruzione di un rapporto o alla morte prematura, essa ci comunica e simbolicamente rappresenta il bisogno psicologico represso o disatteso, le parti di noi stessi trascurate o non riconosciute, le immagini che nella nostra psiche devono metaforicamente “morire”, cioè cambiare o essere trasformate. Il sintomo è un simbolo, una immagine che possiamo interpretare per capire di che cosa abbiamo davvero bisogno, quale parte della nostra psiche sta cercando di contattarci, e quale energia e funzione essa esprime. È perciò entrando dentro queste immagini, che rappresentano le parti represse, che noi possiamo comprendere cosa la psiche ci sta chiedendo, e possiamo così capire cosa fare e come farlo.

La sofferenza è allo stesso tempo un percorso di crescita e di individuazione, di realizzazione di se stessi nel mondo. Crescere, dice Hillman, significa discendere nelle profondità della psiche. Per andare lì dentro, nella dimensione dell’anima, bisogna fermarsi nelle immagini del dolore, cioè delle emozioni e degli affetti, degli istinti e dei significati profondi, di ciò che è eterno e avviene nella nostra natura aldilà di ciò che vogliamo. E dobbiamo anzitutto parlarne, far parlare quelle immagini e tornare in contatto con esse, facendoci le giuste domande: “Perché sta accadendo questo a me?” , “Perché questo sintomo colpisce questo organo o questa parte del mio corpo?”, “Chi sono per me queste persone che mi fanno stare male? Cosa rappresentano dentro di me?”, “Quali sono le parti di me stess@ che manifestano questa sofferenza?”, “Qual è il senso di ciò che è accaduto?”, “Qual è il significato di questo evento? Cosa ha rappresentato metaforicamente?”. Queste sono solo alcune delle possibili domande che ci porteranno dritti dentro la psiche, e che finalmente faranno parlare le parti che nella psiche sono in conflitto e hanno bisogno di esprimersi e realizzarsi.

La terapia delle immagini porta in queste profondità dell’anima, non per evitare o lenire il dolore ma per estinguerlo, non per trovare una strategia contro il problema ma per agevolare la sua risoluzione. Come Hillman sapientemente dimostra in “Re-visione della psicologia”, l’opera più moderna e matura di tutta la psicologia contemporanea, la psiche ha bisogno di patologizzare per natura, ovvero siamo tutti soggetti alla capacità automoma della psiche di creare sintomi, disagio, sofferenza e malattie. Ciò accade perché la psiche produce pulsioni, istinti, bisogni, forze che si rivelano come immagini, che appaiono alla coscienza portando la loro richiesta di essere accettate e realizzate. Ciò crea la sofferenza psichica, la quale si scioglie e si cura proprio attraverso la re-visione delle immagini della psiche. Sarà solo passando attraverso il riconoscimento, l’accettazione e la comprensione del significato delle immagini dolorose, che la sofferenza cesserà nelle sue varie forme di richiamarci ad esse. Così trasformate, le immagini della psiche cambieranno il vostro modo di vivere e di vedere il mondo.

Un giorno incontrai un uomo che aveva le mani deformi e un braccio quasi paralizzato. Mi raccontò della sua malattia e della sofferenza nel vedersi handicappato, nell’aver perso l’uso che aveva prima delle mani. Mi raccontò anche tutto il percorso che aveva fatto per imparare a capire che poteva usarle in modo diverso, e mi fece vedere le abilità che aveva sviluppato. Lui stesso mi disse che “prima di capire che cosa mi era successo e perché mi stava succedendo, non avrei mai immaginato cosa significasse per me questa malattia. Non avrei pensato nemmeno di poter riuscire a raggiungere un grado di abilità così complessa: mi si è dischiusa una sensibilità che prima non avevo per valutare ogni momento in modo creativo cosa poter fare con le mie mani. Adesso faccio molte più cose di prima, se considero che prima mi limitavo a usarle come tutti, mentre ora ho fatto dell’uso di questo strumento un’arte”. Quest’uomo insegnava agli altri la sua “arte”, cioè raccontava la sua storia e faceva vedere cosa gli piaceva fare con le sue mani e come lo faceva: già solo raccontando come aveva trovato il senso della sua esistenza, egli era di esempio per se stesso e per gli altri. Come me in quel momento, decine di altre persone si sono sentite stupide nel lamentarsi per cose superficiali, per problemi molto meno complessi o limitanti rispetto a quelli che invece aveva sicuramente avuto quell’uomo. Tutti quanti poi ci meravigliamo davanti alle incredibili prestazioni degli atleti paralimpici; oppure tutti quanti ammiriamo le destrezze, le abilità, la meraviglia del veder danzare le ballerine dell’opera o del Cirque du Soleil, persone che apparentemente non avevano nessun problema fisico e nessuna malattìa. Quando realizziamo la sofferenza a cui essi sono sottoposti giornalmente, proviamo per queste persone ancor più stima, ma se ci rendessimo conto che quella sofferenza è stata anche una loro scelta, ed è proprio ciò che fanno per passione, ciò che li diverte e li realizza nel mondo, allora forse intuiremmo cosa noi potremmo fare con la nostra. L’uomo con le mani storte aveva capito che questa forza era nascosta anche nella sua malattìa, che lui stesso non aveva voluto ma che faceva parte del suo destino, e che poteva continuare a rifiutarla oppure poteva scegliere di farne la sua arte e di realizzarla nel mondo.

Questo è un racconto che, anche portando a esempio una situazione estrema, vuole dire che la sofferenza, allora, è la qualità di energia, la forza stessa e la spinta necessaria per far “morire” le immagini dolorose nella psiche, cioè per trasformarle, per cambiarle con altre che invece servono adesso, quelle di cui abbiamo bisogno per esistere. Ognuno di noi è poi davvero bello e stupefacente quando realizza se stesso e sceglie di essere se stesso, tanto quanto quell’uomo che suonava il piano e dipingeva con le sue mani storte, quanto l’atleta del circo che si arrampica su una fune e poi balla armoniosa nel vuoto. Ognuno di noi può scoprire che ciò che più ci fa soffrire nasconde e rappresenta la nostra abilità vera, la nostra reale bellezza, il nostro essere speciali, la nostra vocazione nel mondo. Abbiate il coraggio di accettare la vostra sofferenza e di scegliere per il benessere della vostra psiche, in tutte le sue parti, in ogni suo destino.

(Immagine: Sonno di rugiada, di Roberto Ferri, olio su tela)

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