Nel comprendere cosa contraddistingue la personalità dell’individuo, lo sforzo della psicologia del profondo è quello di risalire all’infanzia della nostra psiche, come fece Freud, e nello stesso tempo all’origine dell’umanità, ovvero in quel substrato simbolico e primitivo che Jung chiama “inconscio collettivo” e nel significato dei suoi archetipi. “Profondo” rimanda a quella profonda sorgente dei tempi in cui il mito ha origine, e così fonda le norme e le forme elementari della vita psichica dell’essere umano. Secondo Karoli Kerenyi e i fondatori degli studi moderni di mitologia, gli antichi Greci rappresentano i nostri antenati archetipici: mentre la coscienza dell’uomo si sviluppava in quella culla dell’umanità che fu il mondo arabo-ellenico, storia e mito si fondevano assieme nella narrazione che gli esseri umani facevano dei propri drammi quotidiani nei loro vari aspetti della personalità, rappresentandola in modo preciso e variegato nella mitologia di dèi e dee e nelle loro storie e relazioni.
I miti non sono altro che archetipi della psiche, e la loro narrazione rappresenta quel materiale fluido che espone le specifiche dinamiche e le relazioni che intercorrono tra le diverse parti che costituiscono la personalità dell’individuo, recuperando una visione policentrica della psiche che è andata perduta col positivismo. Come gli eroi della Marvel, o le forze sovrannaturali che animano la Terra di Mezzo e i suoi personaggi, così come le storie raccontate nel cinema, nel teatro e nella letteratura, tutto è mito laddove c’è una narrazione o un racconto che sia anche rappresentazione e interpretazione del dramma dell’uomo. Le “dramatis personae” del racconto che noi facciamo di noi stessi, degli altri e di ciò che ci accade nella nostra vita, si offrono da sé intessendo una storia mitologica che viene ri-raccontata nello studio dell’analista assieme al paziente, e che costituisce il dramma psichico o la commedia in cui egli si pone al centro, come io-soggetto narrante, prendendo atto delle forze psichiche che lo agiscono così come i personaggi che la sua storia personale intesse nella dimensione universale dell’inconscio collettivo.
A questo punto, l’interpretazione del mito puo’ dar luogo a una comprensione intellettuale altamente terapeutica di queste forze intrapsichiche, che risultano proiettate nei vari personaggi del nostro racconto e che sono caratterizzate nelle figure divine che in essi riconosciamo, forze ed energie psichiche che agiamo e che ci agiscono più o meno inconsapevolmente condizionando la nostra vita e le nostre relazioni e costituendo i veri tratti della nostra personalità. In sostanza, il racconto che lo psicologo ci farebbe nella terminologia della psichiatria psicodinamica, spesso facendoci capire niente più che “siamo pazzi”, “abbiamo un problema”, “siamo disturbati”, e così via, risulta invece già bell’e fatto in senso mitologico e archetipico nel susseguirsi delle parole e delle immagini psichiche del racconto del paziente. Si tratta di un linguaggio originario, quello della psiche, e perciò di una psicologia che esiste e funziona perfettamente dalla notte dei tempi. Le psicopatologie, infatti sono nate quando si è iniziato a disconoscere il significato e il valore delle immagini psichiche come dei miti, e il loro stesso potere curativo naturale. A che serve, infatti, che un paziente sappia, ad esempio, di essere “affetto da narcisismo”, senza sapere chi fosse Narciso e quale sia il significato psicologico del suo mito, nonché lo scopo dell’agire di quella forza psichica o divina nel mito che dentro di noi rivive? Oggi crediamo erroneamente che narcisismo sia sinonimo di egoismo, egocentrismo, maschilismo, mancanza d’empatia, ecc., quindi viviamo la psicologia come una descrizione di ciò che ci manca o di ciò che abbiamo in difetto secondo ciò che è personalmente o socialmente accettabile e convenevole, con l’illusione che per “guarire” basti “correggere” il proprio comportamento volontario compensando ciò che è considerato patologico o deficitario.
Grazie a Freud, Jung e Hillman, sappiamo oggi che ogni nostro comportamento deriva da una immagine o immaginario psichico che rappresenta una pulsione o “bisogno”, tutto nostro, di rappresentare una determinata forza psichica, che ha esattamente modalità mitiche ovvero archetipiche, contro le quali il nostro io eroico e la nostra volontà non puo’ fare molto più che finta che non esista e spostare l’attenzione altrove, costringendo la psiche a somatizzare quella forza psichica e costringendo noi stessi a essere agiti inconsapevolmente da essa, con tutti i problemi che poi ne derivano.
Jean Shinoda Bolen, nei suoi bellissimi libri “Le dee dentro la donna” e “ Gli dei dentro l’uomo”, ha sviluppato la prospettiva psicologica del mito concentrandosi sulle maggiori divinità greche e sulle loro relazioni. La “prospettiva delle divinità” consente non solo a terapeuti e pazienti, ma a qualsiasi individuo, di avere una comprensione chiara e immediata dei conflitti intrapsichici e interpersonali che ci animano quotidianamente. Dee e dèi sono “immagini interiori” che operano nella psiche come archetipi che, costellandosi, determinano risposte comportamentali ed emotive inconsce. Perciò i miti delle dee e degli dèi sono le espressioni dei modelli archetipici che debbono essere interpretati in modalità psicodinamiche. In pratica, cosa significa che c’è un dio o una dea che mi agisce dentro di me?
Possiamo intuirlo in modo estremamente semplice se osserviamo che ciò che realizza un tipo di donna puo’ non avere senso per un’altra, e così succede anche per l’uomo. In uno stesso individuo sono presenti più divinità; gli dèi determinano con più forza la personalità dell’uomo, e le dee quella della donna. Più la personalità è complessa, maggiore è la probabilità che le divinità attive siano più di una e che ciò che soddisfa una di esse, cioè una parte della propria personalità, possa apparire insignificante all’altra, generando una scissione in essa e un conflitto interiore laddove il soggetto non sia consapevole di avere “più parti” che agiscono forze diverse dentro di sé, e magari identificandosi maggiormente in una di esse e non riconoscendo il bisogno di espressione delle altre. Iniziamo allora a rivedere quali sono le principali divinità psichiche presenti nella nostra personalità, cercando di riconoscere quelle in cui più ci identifichiamo ma anche quelle che da cui ci sentiamo più agiti e che ci inducono problemi e sofferenze.
Gli dèi che la Bolen prende in considerazione sono Zeus (dio del cielo ed espressione della ragione, della volontà, del potere e del giudizio), i suoi fratelli Ade (dio del mondo sotterraneo come regno delle anime invisibili e dell’inconscio) e Poseidone (dio del mare ed espressione dell’emozione e dell’istinto), e i suoi figli Apollo (dio del sole e della luce, delle arti e dispensatore della legge e dell’azione “a distanza”, suo figlio prediletto), Hermes (messaggero degli dèi e guida delle anime, dio della comunicazione, astuto, briccone e viaggiatore), Ares (dio della guerra ed espressione dell’aggressività, danzatore e amante archetipico), Efesto (dio storpio della fucina e del suo fuoco creatore, artigiano inventore e solitario) e Dioniso (dio del vino, dell’estasi e della natura selvaggia, mistico amante e girovago). Le dee di questa tipologia psicologica sono invece Era (dea del matrimonio, donna fedele e moglie archetipica), Demetra (dea delle messi, nutrice e madre archetipica), sua figlia Persefone (dea fanciulla e “bambina della mamma”, così chiamata “Kore”, che poi diventa anche regina degli Inferi come Persefone), Artemide (dea della caccia, degli animali e della luna, competitiva e vendicatrice dea della natura selvaggia femminile), Atena (dea della saggezza e dei mestieri, stratega di guerra e “figlia del padre”), Estia (dea invisibile del focolare e del tempio, vecchia saggia e zia nubile, nonché dea della spiritualità e della ricerca di un ordine interiore), e la grande dea Afrodite (dea dell’amore, della bellezza e della natura creatrice).
Per approfondire i tratti di ciascuna divinità e i relativi campi di esperienza, suggerisco di leggere direttamente i libri della Bolen. Qui mi interessa rimarcare che dèi e dee descrivono una psicologia del femminile e del maschile in una società fortemente patriarcale quale è a tutt’oggi la nostra. Tutta la mitologia, secondo la Bolen, parla dello sviluppo della personalità delle donne e degli uomini nel patriarcato. In tutti i miti riecheggia il complesso edipico, ovvero il vano sforzo del padre-re Laio di uccidere il figlio Edipo. Nel mito, tutti i figli uccisero il padre, e in conseguenza tutti gli dèi olimpici, compreso Zeus, ebbero madri deboli e sottomesse a un padre potente e spesso violento, che a loro volta dominarono. Con l’aiuto dei fratelli Poseidone e Ade, Zeus spodestò il padre Crono e con le sue numerose avventure amorose diede origine alla terza generazione di divinità, che rappresentano le possibili declinazioni e derive psicodinamiche di un modello familiare arcaico patriarcale, quasi a fotografare in modo esteso e dettagliato ogni possibile tipo di personalità nelle sue sorti. Perciò, l’archetipo del padre è presente in Zeus, Poseidone e Ade, ma in tre aspetti differenti: Zeus regna sul “cielo” cioè sulla ragione e sul giudizio e in modo di voler affermare il proprio potere; Poseidone è l’uomo dominato dall’elemento “acqua”, ovvero emotivo e dalle reazioni istintive e irrazionali; Ade è l’uomo “invisibile”, perlopiù assente e che appare come vivere in un suo mondo interiore distaccato da ciò che anima tutti gli altri. Rispetto a queste figure maschili di riferimento, abbiamo una serie di mogli, compagne, figli e figlie, caratterizzati dalla qualità della relazione instaurata con loro.
Tre dee “vulnerabili” (Era, Demetra e Persefone) rappresentano i ruoli tradizionali di moglie, madre e figlia rispettivamente. Sono archetipi dell’orientamento al rapporto, la cui identità e il cui benessere dipendono dalla presenza, nella loro vita, di un rapporto significativo. Sono vulnerabili perché sintonizzate sull’altro: vennero tutte e tre violentate, rapite, dominate o umiliate da divinità maschili. Quando un legame veniva spezzato o disonorato, ognuna di loro soffriva nel proprio modo caratteristico, e manifestava sintomi che assomigliavano alla malattia psichica: Era reagiva con rabbia e gelosia (es. alla distanza emotiva e ai tradimenti di Zeus), Demetra e Persefone con la depressione (rispettivamente alla sua violenza e insensibilita o indifferenza). Tuttavia, ognuna di loro andava poi incontro a un’evoluzione psicologica, che puo’ aiutare le donne a capire profondamente la natura e la modalità delle loro reazioni al vissuto di perdita, violenza o abbandono, e le possibilità di crescita attraverso la sofferenza che ne deriva. La conoscenza di queste dee in terapia puo’ dare alla donna un insight sulla natura del suo bisogno di gratificazione nel rapporto con l’altro: ad esempio, essere compagna (Era), accudire (Demetra), essere dipendente dall’altro (Kore-Persefone). Per queste donne, realizzare ruoli tradizionalemente femminili puo’ essere significativo e realizzativo.
Rispetto agli uomini, invece, le dee “vergini” (Artemide, Atena, Estia) rappresentano il bisogno di indipendenza e di autosufficienza, nonché quella parte della donna che un uomo non puo’ riuscire a possedere né metaforicamente a “penetrare”. Queste dee sono “vergini” in quanto non vengono toccate dal bisogno di dipendere dall’approvazione di un uomo, piuttosto sentono il bisogno di concentrarsi su se stesse: orientandosi verso una meta come Artemide, attraverso il pensiero logico come Atena, oppure orientandosi verso il centro spirituale della propria personalità. Nel suo mito, Artemide, figlia di Zeus, ha evitato il contatto con gli uomini e la sua modalità di adattamento era la separazione da essi e dalla loro influenza, fino alla vendetta ovvero alla rivendicazione dei propri diritti come nelle femministe. Atena, figlia prediletta del padre Zeus e “partorita dalla sua testa”, partecipa invece alle attività degli uomini come fosse una di loro (la segretaria) o come essere superiore (la manager aziendale): la sua modalità di adattamento era un’identificazione col maschile, fino a diventare una guerriera saggia e stratega, quindi indipendente dal loro potere seppur appoggiandolo di sua scelta. Estia seguì una modalità di adattamento introversa, ovvero si appartò dagli uomini diventando apparentemente anonima e solitaria. Questa donna mette in sordina la propria femminilità per non attirare su di sé un indesiderato interesse maschile, evita situazioni competitive e vive quietamente dedicandosi alle mansioni quotidiane o alla meditazione.
Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, è una dea “a parte” che emana attrazione erotica e sensualità, e orienta a una nuova modalità di vita. Stringeva relazioni di sua scelta, e non fu mai vittimizzata da nessuno. Allo stesso tempo, spinge a cercare nei rapporti l’intensità e la stabilità, a tenere in grande considerazione il processo creativo e a essere aperta al cambiamento. È una dea capace di attivare, in una donna come in un uomo, quel processo di trasformazione alchemica e di creazione proprio dell’amore e della passione. Nei numerosi rapporti che ebbe, faceva perdere la testa e il desiderio fu sempre un sentimento reciproco, in quanto essa attribuiva valore all’esperienza emotiva con gli altri piuttosto che la sua indipendenza o dipendenza dagli altri come invece nelle dee vergini o in quelle vulnerabili. Il rapporto, per lei, non rappresenta un impegno a lungo termine: essa cerca di consumarlo per generare qualcosa di nuovo nella sfera psicologica, emotiva o spirituale. Afrodite perciò è presente in ogni processo creativo determinato da un desiderio appassionato, anche metaforicamente erotico (da Eros, suo figlio), di conoscere l’altro, o il nuovo, o qualcosa di diverso, e di unirsi insieme all’oggetto del desiderio per trasformarsi in una esperienza intensa che ci puo’ far dire “è stato davvero bello”.
Il figli prediletti di Zeus, Apollo ed Hermes, corrispondono agli archetipi che nel mondo patriarcale aiutano gli uomini a farsi strada. Entrambi vivevano bene nel regno “celeste” del padre Zeus, e come lui essi vengono associati alla distanza emotiva e all’attività mentale. Sono coloro che più si sentono a casa propria nel regno della mente: entrambi venivano associati al linguaggio, alle trattative e al commercio, e si appellavano a Zeus per comporre le loro dispute. Entrambi evitavano il contatto fisico, e nessuno dei due ebbe una moglie o una compagna fissa.
I figli rifiutati da Zeus, Ares (Marte per i romani) ed Efesto, al contrario non osservano la mente e la parola, ma si esperimono con l’azione fisica, privilegiando la dimensione “manuale” dell’esperienza. Entrambi sono mossi da emozioni forti, come la rabbia e l’aggressività, in un modo maggiormente estroverso (Ares) o introverso (Efesto). Le loro caratteristiche archetipiche non vengono apprezzate nel mondo patriarcale di oggi, che predilige l’uso della ragione a quella dell’istinto e del sentimento, perciò gli uomini agiti prevalentemente da questi dèi stentano ad avere successo, tuttavia Ares ed Efesto esprimono una qualità di energia “di fuoco” che risulta essere fondamentale e persino cruciale per poter smuovere una situazione e dare vita a un atteggiamento nuovo nei confronti di se stessi degli altri e della vita, per poter rompere e ridefinire situazioni stagnanti e per trasformare l’energia potenziale in energia dinamica e creatrice nell’uomo. Dopotutto, anche se brutto e storpio Efesto era il marito di Afrodite, e Ares il suo prediletto amante!
Concludo questa tipologia archetipica con Diòniso, il dio del vino e dell’estasi, un dio unico nel suo genere per nascita, evoluzione e manifestazione. Era l’unico dio dell’Olimpo ad avere una madre mortale, che poi andò a cercare nell’Ade per riportarla dall’oltretomba all’Olimpo, e il solo che venne cresciuto e accudito personalmente da Zeus, seppur come fosse una bambina. Per questo, Diòniso preferiva stare tra le donne e per lui esse sono le più importanti. Nell’estasi, faceva impazzire le donne che lo seguivano (le Mènadi o Baccanti) nel bisogno di rompere i propri schemi e le proprie catene, per cui è un liberatore del femminile e permette alle donne di evolvere psicologicamente. Nonostante le orge e il desiderio continuo di entrare in contatto intimo e spirituale con nuove persone, sposò Arianna abbandonata dall’eroe Teseo, e fu per lei un marito fedele. Essendo il dio degli estremi e degli eccessi (sia in positivo che in negativo), è l’altra faccia di Apollo, dio della moderazione, e quando attivo in un uomo viene vissuto dagli altri con ambivalenza: dagli uomini di potere in modo evitante, dalle donne (e dall’aspetto femminile degli uomini) viene invece vissuto e percepito con piacere. Gli uomini Diòniso scoprono presto che gli altri reagiscono loro con ambivalenza, e dentro di loro ciò puo’ determinare un vissuto di smembramento nonché una scissione di tipo borderline, alternando stati di abbandono, bassa autostima e depressione, a stati di euforia e dilatazione dell’io, fino a sintomi da conversione. Tuttavia, preso nella dose e nelle circostanze “giuste” così come tutte le altre energie divine, questo dio, come il vino, “scioglie” la mente e rappresenta un catalizzatore dell’esperienza che puo’ portare a una vera e propria “soluzione” terapeutica per i blocchi e i conflitti interiori. Questo non significa che bere vino sia una cura: non dobbiamo mai dimenticare che le immagini di dèi e dee non vanno letteralizzate, ma colte nel loro significato metaforico psicologico. La psicoterapia analitica archetipica vi accompagnerà attraverso i significati degli dèi e delle dee che vivono nella vostra psiche in un meraviglioso viaggio per conoscere se stessi.
(Adesso provate a fare esperienza diretta con le immagini di queste divinità. Qui sotto le trovate così come sono state interpretate da artisti famosi come Leonardo da Vinci, Botticelli, Rubens, Klimt e Velazquez. Provate a immaginare che nella vostra psiche stia agendo una forza come quella che vedete simbolicamente rappresentata del dipinto del dio o della dea corrispondente. Riuscite a sentirla e a entrare in contatto con essa?)
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