Per scoprire la nostra psicologia dell’amore, dobbiamo anzitutto capire qual è il significato del nostro desiderio. L’origine della parola ‘desiderio’ è forse una delle più belle da poter raccontare. Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione ‘de-‘, che in latino ha un’accezione negativa, e dal termine ‘sidus’ che significa “stella”. ‘Desiderare’ significa letteralmente “mancanza di stelle”, nel senso di avvertire la “mancanza di ciò che illumina la nostra notte interiore”. Un desiderio perciò esprime non tanto la mancanza di un oggetto preciso, ma di quei buoni presagi e auspici provenienti dalle stelle e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata. Per i greci e i latini, le stelle o pianeti rappresentavano gli dèi andati in cielo, e che da lassù governavano il mondo. Carl Gustav Jung e James Hillman hanno estesamente spiegato dèi e miti come forze psichiche che agiscono dentro di noi: sono metafore delle nostre funzioni psicodinamiche, di cui gli archetipi planetari sono rappresentazione. In questa prospettiva, si desidera perché si avverte dentro di sé la mancanza dell’energia espressa da una di quelle forze o divinità, che ci guidi e infonda sicurezza. Desiderio è quindi il sentimento che spinge alla ricerca di ciò che guidi nella ricerca del proprio oggetto interiore mancante: si desidera come bisogno, come la fame o la sete, come pulsione. Di ogni desiderio è lecito chiedersi allora quali siano le “stelle” come dèi o forze di cui avvertiamo la mancanza. Quali sono gli dèi che cerchiamo? Quale oggetto del desiderio manca, e come facciamo ad averlo, semmai fosse trovato?
Seguendo la mitologia classica, ovvero la psicologia dalla quale ci siamo evoluti, scopriamo che non c’è un solo dio del desiderio, ma che ci sono tante divinità quante sono le sue forme. I desideri d’amore sono tutti figli di Venere/Afrodite, la dea della bellezza, dell’amore e della procreazione, a cui viene associata la generazione del desiderio stesso. Eros/Amore è il figlio di Venere/Afrodite e Marte/Ares. Omero citava Eros come principio divino corrispondente all’irrefrenabile desiderio fisico, come quello vissuto da Paride nei confronti di Elena. Eros è la fisicità e l’atletismo del desiderio erotico, ereditata dal padre Marte/Ares, dio della guerra e della lotta. Ma non è tutto. Il mito narra che un giorno Afrodite si lamentò con la dea Temi del fatto che il piccolo Eros non crescesse, così la saggia Temi le rispose che Eros non sarebbe mai cresciuto finché non avesse avuto l’amore di un fratello. Così Afrodite si unì ad Ares e generò Anteros, e da quel momento i due fratelli crebbero insieme, ma ogni qualvolta Anteros si allontanava da Eros, quest’ultimo tornava fanciullo. Questo mito spiega che il desiderio erotico (Eros), per crescere, ha bisogno di essere corrisposto (Anteros).
I greci contemplavano anche altri fratelli di Eros, tutti insieme definiti gli Eroti (o Erotes, Ἒρωτες), come diverse rappresentazioni dell’amore divino e della sessualità. Uno era Pothos, generato da Afrodite con il dio Cronos, identificato nel pianeta Saturno e associato al tempo, al sacrificio e alla rigenerazione. Rispetto ad Eros, Pothos incarnava un altro concetto di desiderio amoroso: quello del dolore intenso per la lontananza e la mancanza della persona amata. Veniva raffigurato con lo sguardo perduto e sognante, seduto appoggiato a un sostegno. In Pothos il desiderio amoroso si accende nella dimensione del tempo e del sacrificio legato all’attesa per l’oggetto del desiderio mancante o lontano. Un altro fratello di Eros era Himeros, che rappresentava il desiderio amoroso come follia. Questi, come Pothos ed Eros, è raffigurato con l’arco e le frecce necessarie per scagliare e contagiare di desiderio le persone colpite. Ma una freccia scoccata da Himeros generava un desiderio ardente, rappresentando perciò la passione del momento, il desiderio fisico presente che chiede di essere immediatamente consumato.
Se i figli di Afrodite rappresentano le varie forze che in noi scaturiscono il desiderio, Afrodite stessa, la dea Bellezza, è colei che suscita il desiderio sconvolgendo le menti non solo dell’uomo, ma anche divine. Omero narra che solo tre dee non vengono da essa influenzate: Atena, Artemide ed Estia. Atena è la dea guerriera e vergine della sapienza, delle arti e della guerra: difende e consiglia gli eroi, istruisce le donne industriose, orienta i giudici dei tribunali, ispira gli artigiani, protegge i fanciulli. Artemide è la dea della caccia e degli animali selvatici, della foresta e dei campi: è anche la dea delle iniziazioni femminili, protettrice della verginità e della pudicizia, identificata nella Luna crescente, la fase lunare meno soggetta all’influenza ormonale sul desiderio sessuale, rispetto invece a Selene (la Luna piena) e ad Ecate (la Luna calante). Estia, altra dea vergine, è protettrice della casa e del focolare, nonché della famiglia. Vediamo come per i greci la castità rappresentasse la forza opposta a quella del desiderio erotico, e associata al femminile di tre dee estranee all’amore e contrapposte al femminile generatore (Afrodite) di quattro diverse divinità maschili (Eros, Anteros, Pothos e Himeros) come forme di desiderio amoroso.
Le tre dee vergini sono anch’esse tre desideri, ma opposti all’amore: sono tre diverse modalità psichiche di cui ognuno può sentire il bisogno o la mancanza, come per le altre divinità, e vengono psicologicamente considerate come antidoto all’amore stesso. Atena rappresenta tutte le forme di intellettualizzazione che portano, nell’operosità del sapere e del saper fare, il desiderio di lavorare e lottare per idee e progetti come alternativa al contagio della bellezza, che è invece madre di tutte le forme del desiderio d’amore. Artemide è il desiderio di solitudine e indipendenza, la libertà come rifugio nella propria natura selvaggia, serve per riscoprire la propria essenza, ed è un antidoto alla dipendenza affettiva. Estia è il desiderio della casa, il rifugio per antonomasia da ogni freccia vagante; è colei che a sera ci riporta al focolare, dove il fuoco d’amore arde nell’ambiente famigliare.
Abbiamo appena identificato tre desideri che sorgono nell’essere umano come contrapposti ai quattro tipi di desiderio o impulso amoroso che scaturiscono da Afrodite, e che i miti hanno descritto a metafora di una fenomenologia erotica, per usare le parole di Jung. Ma verso dove spinge il desiderio indotto dalle diverse frecce scoccate dai quattro amori figli di Afrodite?
Jung individua altrettante figure mitologiche femminili che personificano la sua prospettiva animica dell’amore. In sostanza, Jung riteneva che lo sviluppo dell’anima avesse quattro livelli distinti, che chiamò Eva, Elena, Maria e Sophia (1). Spiega James Hillman: “Quando Jung parla di ‘quattro gradi dell’eros’ e propone una correlazione tra gli stadi della fenomenologia erotica e quattro gradi dell’Anima (Eva, Elena, Maria, Sophia), queste immagini femminili non rappresentano l’eros, ma gli oggetti del suo desiderio. Ogni impulso ha una proiezione corrispondente, il fine a cui tende, un Graal che raccoglie il suo sangue. Questi oggetti contenenti possono essere raffigurati tramite le immagini dell’Anima descritte da Jung, però queste figure non sono l’eros, anche se a ognuna di esse può essere correlata una specifica qualità dell’eros. Non sono le amanti, ma le amate; sono le immagini riflesse dell’amore, attraverso le quali l’eros può vedere se stesso. Quando il nostro desiderio viene rispecchiato da una compagna di scuola o da una suora infermiera, è proprio la specificità di queste immagini dell’anima che ci permette di capire con maggiore precisione la qualità del nostro desiderio; ma la ragazzina o l’infermiera non sono il desiderio. Tali immagini sono ritratti dell’anima, attraverso i quali l’eros viene condotto nella sfera psichica e può essere vissuto come un evento psichico”(2).
Lo sviluppo dell’anima riguarda perciò l’apertura all’emotività, e in questo modo a una spiritualità più ampia, che nel processo di individuazione man mano porta ad integrare nella coscienza i processi intuitivi, la creatività, l’immaginazione e la sensibilità psichica verso se stessi e l’altro. Nel primo livello di questo processo l’immagine animica oggetto del desiderio è Eva, che prende il nome dal personaggio del racconto della Genesi: come Eva colse il frutto proibito e ruppe l’omeostasi del paradiso terrestre, così ella è immagine dell’emergere del desiderio che rompe uno stato predisposto. Il secondo livello è rappresentato da Elena, che allude a Elena di Troia, responsabile dei danni e lutti provocati dalle contese nate per appropriarsi della sua bellezza. In questa fase, l’amata è vista come capace di successo mondano, intelligente e perspicace, tuttavia se ne scopre la carenza di qualità interne, perché Elena è una donna sì immensamente bella, ma non altresì virtuosa. Il terzo livello della ricerca dell’anima è rappresentato da Maria, la Vergine madre di Gesù: a questo livello, l’oggetto del desiderio è l’immagine trascendentale di una donna madre di cui l’uomo può percepire le virtù, anche se in modo dogmatico e trascendentale. Il quarto e ultimo livello dello sviluppo dell’anima è per Jung rappresentato da Sophia, la saggezza, che nello gnosticismo cristiano rappresenta la scintilla divina o pneuma che è in tutti noi. Sophia realizza un’integrazione completa, che consente alla donna di essere vista e relazionata come individuo che possiede qualità sia positive che negative. L’oggetto del desiderio è qui la personificazione della saggezza e dell’anima stessa, in modo che nessun singolo oggetto desiderato possa saturare completamente l’immagine a cui viene collegato.
Abbiamo ora una visione completa di come le nostre stelle, o divinità, o desideri, si ritrovino in questa psicologia archetipica dell’amore a proiettare le proprie forze su determinati oggetti. La storia delle moderne relazioni racconta di un inevitabile calo del desiderio. Nella coppia formata, l’ardore originario dei “primi tempi” sembra sempre più lontano e irraggiungibile. Ciò accade perché si perdono o non vengono rispettate le condizioni iniziali che accendevano il desiderio erotico dell’altro. C’è sempre più un Eros deflazionato. Il mito ci indica che per crescere Eros ha bisogno del fratello Anteros: il desiderio erotico ha cioè bisogno di essere corrisposto. Troppo spesso in una coppia il desiderio di uno forza quello dell’altro, troppo spesso si pretende che l’altro ci desideri allo stesso modo all’istante. Un Eros deflazionato può infatti indicare che un altro fratello, Himeros, scocca le frecce al suo posto. Qui l’amore è sempre più mercificato a oggetto di scambio, per cui si intende “prestare” qualcosa all’altro aspettando altrettanto, cedendo al desiderio nel suo immediato bisogno (Himeros) e fornendo l’amore nella forma di una prestazione piuttosto che di una spontanea corresponsione (Anteros). Inoltre l’erotismo richiede separatezza, poiché prospera nello spazio fra sé e l’altro, nella distanza necessaria affinché permanga il desiderio amoroso provato nella mancanza dell’oggetto d’amore (Pothos). Sembra perciò una componente indispensabile al mantenimento del desiderio, l’assenza o la lontananza stessa del suo oggetto: così come nel significato della parola, il desiderio è la mancanza stessa della stella, della divinità. Perciò una coppia che funziona è quella che si separa durante il giorno, poiché in quella distanza ciascuno può desiderare la divinità dell’altro.
Questi quattro stadi della fenomenologia erotica sono quindi necessari al mantenimento di un desiderio costante ed equilibrato. Ciascuno di essi può essere assegnato a uno dei quattro volti mitologici dell’anima, come oggetti del desiderio che rappresentano altrettanti elementi che devono funzionare in sincronia affinché vi sia un adeguato erotismo ed eccitamento. Eva rappresenta l’attrazione iniziale, il desiderio del proibito a cui si cede, la freccia scoccata da Himeros. Elena rappresenta la pulsione e il conseguimento del suo oggetto, l’immagine esteriore verso cui tendiamo e che consumiamo, come Paride, in Eros. La pulsione affonda le sue radici nel biologico ed è alimentata, come Eros, da Anteros, ovvero si alimenta nel trovare il desiderio e l’eccitazione dell’altro.
Il desiderio è integrato e aumentato dai valori interni all’immagine dell’altro: Maria possiede questi valori al di là del desiderio carnale, che sono ancora assenti in Eva e in Elena. Rappresenta cioè un desiderio più intimamente associato a fattori consci cognitivi e ideativi, come le paure o le proibizioni, e dovuto all’idealizzazione dell’amata. Maria è anche la Vergine Madre, in cui l’uomo ritrova un’àncora fissa e affidabile, ma anche un’esperienza trascendentale in grado di elevarlo al di sopra della sua vita comune.
Infine Sophia è associata alla motivazione al di là della pulsione, ed è il vero oggetto del desiderio figlio del tempo, dell’attesa e del sacrificio, cioè di Pothos, raffigurato pensante ma stabile e appoggiato. Sophia è la rappresentazione più elevata dell’anima, obiettivo di un desiderio più maturo e longevo. Il desiderio per Sophia è ora strettamente collegato ai bisogni inconsci dell’oggetto del nostro desiderio erotico, cioè dell’altro, che è l’anima stessa. Il conforto e la stabilità che cerchiamo nella coppia devono quindi essere sapientemente derivati dal rischio, dalla reciprocità e dalla novità. Sophia può alimentare nel tempo il desiderio, perché viene vista non più come solo oggetto e immagine del desiderio stesso, ma nell’originalità dei particolari dell’immagine integrata dell’altro, finalmente riconosciuta nelle sue qualità sia positive che negative. Una personificazione della saggezza è l’anima compiuta in tutti i suoi aspetti, riconosciuta come tale e amata così com’è, non più solamente per curiosità, bisogno, fusione o identificazione.
La saggezza è perciò la componente più matura del desiderio sessuale, e si manifesta nel desiderio di fare cose carine per l’altro, nell’accogliere e nutrire i suoi bisogni, nei gesti premurosi e inaspettati, nel condividere attività pratiche e ludiche, nel fare insieme progetti, rifuggendo dai soliti discorsi e dalle attività abitudinarie. Un sorriso inaspettato, un occhiolino al momento giusto esprimono complicità e sintonia anche quando non si trovano le parole, o quando quelle che si usano ogni giorno non sortiscono più l’effetto desiderato e non alimentano la passione. Fare l’amore dovrebbe essere ogni volta come qualcosa di nuovo da scoprire (Eva), non come qualcosa di già conosciuto che si sente comunque l’obbligo di fare. Desiderando e consumando la bellezza e le qualità manifeste dell’altro (Elena), non dimenticando nemmeno di mettere in luce le proprie. Desiderando dell’altro anche le qualità interiori, i valori e gli ideali (Maria), ma senza esagerare idealizzandoli a sacri così da considerare gli aspetti terreni come profani. Desiderando e ricercando ogni giorno la vera essenza dell’altro nonché amandolo con saggezza (Sophia) sapendo integrare i suoi bisogni ai propri.
La sfida per le coppie moderne sta nel ritrovare il desiderio nell’amore: nel donarlo come Eros, Anteros, Pothos e Himeros, e nell’immaginarlo e ritrovarlo in Eva, Elena, Maria e Sophia. Il fine ultimo è quello della realizzazione dell’anima: la felicità come desiderio supremo, che i greci consideravano come eudaimonìa (da eu-, buono, e daimon, demone). Ma chi è questo “buon demone” che porta al raggiungimento della felicità, se non Eros nelle sue varie forme?
Eros che non è una vera e propria divinità, ma appare come uno spirito alato o un daimon, un messaggero che compie la volontà di Afrodite. Come chiarisce Democrito, “Felicità e infelicità sono fenomeni dell’anima”, cioè legati all’Anima Sophia che secondo Jung comprende in sé anche le altre tre forme. L’anima è il principio dell’Eros, la quale prova piacere o dispiacere a esistere a seconda che si senta o non si senta realizzata. “La realizzazione di sé è dunque il fattore decisivo per la felicità”, scrive Galimberti (3). L’idea classica di felicità eudaimonica è dunque molto diversa dall’idea, oggi dominante, di felicità edonica, intesa come semplice sinonimo di piacere. Il desiderio supremo, la felicità eudaimonica, è legata alla fioritura umana, all’autorealizzazione virtuosa del desiderio erotico, ottenuta cioè in un contesto di civile convivenza e attraverso comportamenti etici dettati dalla saggezza.
Riferimenti bibliografici:
1) Jung, C.G. (1936), Sull’archetipo con particolare riguardo al concetto di Anima, in Opere, vol. 9*, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Torino, Boringhieri, 1980.
2) Hillman, J., in Spring, 1973, trad. it. di Luciana e Gianni Baldaccini.
3) Galimberti, U., I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009.
Commenti